ARTICOLICONTRIBUTIDalle Sezioni UniteDIRITTO PENALEIN PRIMO PIANO

Tenuità del fatto e reati con soglie di punibilità

in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 6 – ISSN 2499-846X

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Cassazione Penale, Sezioni Unite n. 13681/2016 e 13682/2016
Cassazione Penale, Sez. III, n.18680/2016

Negli ultimi mesi diversi interventi della Suprema Corte paiono aver risolto ormai inequivocabilmente una questione molto discussa all’indomani dell’entrata in vigore dell’art.131-bis c.p. (Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto).

Il riferimento è, in particolare, all’applicabilità del nuovo istituto ai quei reati che prevedono “soglie di punibilità” o di rilevanza penale. È pur vero che, già poco dopo l’entrata in vigore della norma, la Cassazione si era espressa in senso affermativo, riconoscendo l’applicabilità della nuova disposizione, nel caso allora in esame, al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 d. lgs. n. 74/2000), norma che prevede la punibilità della condotta solo ove questa abbia ad oggetto imposte per un ammontare superiore a 50.000 euro (Cass.., sez. III penale, n. 15449/2015). Il principio, in effetti, non era per nulla scontato: la presenza delle “soglie”, infatti, potrebbe essere intesa come una sorta di presunzione legale di rilevanza penale della condotta, come tale incompatibile con il riconoscimento della nuova causa di non punibilità. La Suprema Corte, in quella prima occasione, aveva riconosciuto come, in realtà, non vi sia motivo per escludere – in via di principio – una particolare tenuità dell’offesa in relazione a casi connotati dal superamento della soglia ma comunque caratterizzati in concreto da scarsa offensività (così si esprimeva anche, pochi mesi dopo, Cass. sez. IV penale, n. 33821/2015)

La presa di posizione della terza sezione penale, tuttavia, non era evidentemente risultata sufficiente a dirimere la questione, tanto che, nel dicembre 2015, la quarta sezione aveva ritenuto necessario  rimettere alle Sezioni Unite la questione dell’applicabilità della nuova disposizione ad alcune fattispecie previste dal Codice della strada. Ed il risultato di tale rimessione è rappresentato proprio da due sentenze “gemelle” (le n. 13681 e 13682 del 2016), accomunate da una motivazione in gran parte coincidente, depositate il 6 aprile scorso.

La sentenza n. 13681/2016 si occupa, precisamente, dell’applicabilità della tenuità del fatto ai reati di guida in stato di ebbrezza previsti dall’art. 186 co 2 lett. b) e c) del Codice della strada. La quarta sezione aveva già risolto la questione in senso affermativo (cfr. Cass., sez IV penale, n. 44132/2015), ma nel rimettere la questione alle Sezioni Unite coglie l’occasione per rilevare anche alcuni argomenti in senso contrario. Più in particolare, si osserva nell’ordinanza, trattandosi di reati intesi a proteggere la regolarità della circolazione e della sicurezza stradale, si potrebbe dedurre che non vi sia la possibilità di “graduare” l’offesa, come invece accadrebbe se il bene tutelato consistesse nell’incolumità del singolo. Ed, in effetti, in relazione ai reati in esame lo stesso legislatore pare aver predeterminato, configurandole quali aggravanti, le situazioni connotate da maggior pericolo per la sicurezza, quali l’ora notturna. Si potrebbe dunque ritenere che il legislatore abbia già implicitamente escluso la possibilità di ritenere “particolarmente tenue” uno dei reati in esame.

Tuttavia, osservano le Sezioni unite, il suddetto ragionamento muove da una premessa errata, e cioè che il nuovo istituto sia legato unicamente a valutazioni concernenti l’offensività, mentre, osserva la Corte, “il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza”. Il reato, infatti, deve necessariamente essere offensivo, perchè in caso contrario difetta di tipicità: il nuovo istituto della tenuità, dunque, attiene a fatti che sono certamente offensivi, e dunque pienamente riconducibili alla fattispecie legale, “essendo in questione non la conformità al tipo, bensì l’entità del suo complessivo disvalore”. La causa di non punibilità richiede una valutazione complessiva che abbia ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, secondo una valutazione di tutti i caratteri della fattispecie concreta, “e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto”.

La conclusione che ne traggono le Sezioni unite è che non esistano reati per i quali non sia possibile  “la considerazione della modalità della condotta; ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l’applicazione del nuovo istituto”.

Ed è dunque evidente, a questo punto, che la pronuncia in esame concluda necessariamente per l’applicabilità del nuovo istituto al reato di guida in stato di ebbrezza, qualunque sia la soglia predeterminata per legge, ma è anche chiaro che la medesima conclusione si impone, necessariamente, per ogni altro reato che preveda soglie di punibilità o di rilevanza penale. D’altra parte, nota la Corte, i dubbi espressi dall’ordinanza di rimessione paiono muovere da una presunta difficoltà nell’effettuare una valutazione circa l’entità della lesione in reati in cui tale giudizio pare essere già stato effettuato dal legislatore attraverso soglie di rilevanza penale (o, come avviene nell’art. 186 Codice della strada, attraverso “fasce di graduazione” dell’entità dell’illecito). Tuttavia, osservano le Sezioni unite, tale preoccupazione si fonda sul presupposto che la tenuità del fatto implichi una valutazione unicamente dell’entità del danno o del pericolo, ma tale conclusione è radicalmente esclusa dallo stesso tenore letterale dell’art. 131-bis. Il legislatore, infatti, vi ha espressamente previsto che la nuova fattispecie trovi applicazione anche quando la legge prevede la particolare tenuità dal danno o del pericolo come circostanza attenuante, con ciò chiaramente prevedendo che il fatto possa comunque essere ritenuto non punibile sulla base di altri indicatori, attinenti alla condotta o alla colpevolezza.

La Suprema corte, tuttavia, compie uno sforzo ulteriore, chiarendo in quali termini l’istituto possa trovare applicazione in relazione ai reati di guida in stato di ebrezza e, nella sentenza n.13682/2016, a quello di rifiuto di sottoporsi ad alcol-test di cui all’art. 186 co 7 Codice della strada.

Deve rilevarsi che, quanto alla prima delle due pronunce, la motivazione appare pienamente esaustiva: la Corte, infatti, chiarisce che la previsione di una soglia relativa al tasso alcolemico ha proprio la funzione di individuare un disvalore minimo della situazione pericolosa. È evidente, dunque, che tanto più ci allontana dalla soglia tanto più è verosimile che si trovi di fronte a fatti non tenui, ma è altresì chiaro che una condotta di poco superiore al limite normativamente previsto potrà essere comunque “tenue” nel caso concreto, sulla base di considerazioni attinenti alla modalità della condotta o alla colpevolezza. Convince pienamente, in effetti, l’esempio, proposto dalla Suprema corte, dell’agente che, in stato di alterazione alcolica (indipendentemente dal fatto che sia superata la soglia di cui alla lettera b) o c) previste dall’art.186) si ponga alla guida di un’auto in un parcheggio isolato, spostandola di pochi metri e senza determinare, dunque, una situazione particolarmente pericolosa. È pur vero, infatti, che il reato in esame rientra tra quelli di pericolo presunto, in relazione al quale non è dunque richiesto alcun accertamento circa la concreta pericolosità della condotta tipica, ma ciò non toglie che, una volta accertata la situazione pericolosa tipica (e, dunque, la piena conformità del caso alla fattispecie), resta comunque uno spazio per apprezzare in concreto, sulla base della concreta manifestazione del reato, quale sia il concreto possibile impatto pregiudizievole della condotta rispetto al bene tutelato.

La conclusione in esame, pienamente convincente quanto al reato di guida in stato di ebrezza, lascia invece aperto qualche dubbio in relazione alla diversa fattispecie di cui all’art. 186 co 7 Codice della strada, di cui le Sezioni unite si occupano nella sentenza n. 13682/2016. La quarta sezione, nel rimettere la questione, osservava che il rifiuto di sottoporsi all’alcol-test da parte del conducente di un veicolo si risolve in una condotta di dissenso che è sostanzialmente sempre uguale e delinea un reato istantaneo, motivo per cui sarebbe impossibile una graduazione dell’offesa nel senso richiesto dall’art. 131-bis. Nel ritenere non condivisibile tale conclusione, le Sezioni Unite riportano sostanzialmente i medesimi motivi già espressi nella sentenza n. 13681/2016, tanto che la motivazione delle due pronunce è pressoché identica. Nell’effettuare esemplificazioni attinenti allo specifico reato in esame, inoltre, la Cassazione rileva che, ai fini della riconoscibilità della tenuità, potrebbe essere valutata la modalità della condotta – considerato che non è indifferente accertare se il comportamento si sia estrinsecato nel mero rifiuto oppure in una violenta opposizione – oppure valutando la colpevolezza. Potrebbe in tal caso essere opportuno considerare se il rifiuto sia dovuto ad una non perfetta comprensione del contesto, oppure ad altre concomitanti esigenze personali.

L’esemplificazione operata dalla Corte, in questi termini, è perfettamente condivisibile, ma meno chiara è l’ulteriore conclusione della Corte: nella motivazione, infatti, si sostiene che il comma 7 non punisce la mera disobbedienza, ma il rifiuto connesso a condotte di guida indiziate di essere irregolari e pericolose. E pertanto, poiché è evidente la connessione tra la contravvenzione in esame e quelle previste dal co 2 del medesimo articolo, si impone di valutare “pure con riguardo a quella di mero rifiuto lo sfondo fattuale, la rischiosità del contesto nel quale l’illecito s’inscrive”. Quest’ultima ultima conclusione lascia aperta qualche perplessità, poichè pare collegare la valutazione circa la non punibilità del rifiuto di sottoporsi ad alcol-test alla condotta – più o meno pericolosa – fino a quel momento realizzata, anche se tale elemento fuoriesce completamente dal fatto tipico previsto dal co 7 e la giurisprudenza, anche di legittimità, ha sempre ribadito l’autonomia del suddetto reato rispetto alla distinta fattispecie disciplinata dal secondo comma dell’art. 186. Solo le applicazioni concrete di tale principio, forse, potranno in futuro meglio far comprendere la connessione ipotizzata dalle Sezioni Unite.

In ogni caso, la conclusione della Corte è sempre la medesima: anche al di fuori dei due casi specifici fin qui trattati, la previsione di una o più soglie di rilevanza penale della condotta non è ostativa, in astratto, all’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis.

Ed in effetti, poco dopo le due pronunce a Sezioni unite, la terza sezione penale è nuovamente intervenuta sul tema, ribadendo il medesimo principio con riferimento, però, ad un reato tributario (Cass., sez. III penale, n.18680/2016). È noto che, in tale campo, la “costruzione” della fattispecie basata sulla previsione di soglie di rilevanza penale è molto comune. Nel caso di specie la Corte ha ribadito l’applicabilità astratta dalla causa di non punibilità con riferimento all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74/2000, ma il medesimo concetto risulta agevolmente adattabile a tutte le fattispecie che prevedono soglie analoghe (d’altra parte la stessa sezione aveva già ritenuto applicabile il principio anche con riferimento all’art.11 d.lgs. n.74/2000 nella già citata sentenza n.15449/2015). Nel caso in esame, tuttavia, la terza sezione conclude per l’inapplicabilità della causa di non punibilità al caso concreto poiché la soglia di rilevanza penale risulta superata di quasi 10.000 euro. Pare desumersi, dunque, che il criterio principale di valutazione ai fini del riconoscimento della tenuità, nei reati tributari, resta l’importo dell’imposta non versata.

Vale però senza dubbio, anche in questi casi, ciò che le Sezioni Unite hanno esplicitato in tema di guida in stato di ebrezza: se è vero che tanto più ci allontana dalla soglia tanto più è verosimile che ci si trovi di fronte a fatti non tenui, è altresì chiaro che una condotta di poco superiore al limite normativamente previsto potrà essere comunque “tenue” nel caso concreto, sulla base di considerazioni attinenti alla modalità della condotta o alla colpevolezza.

Come citare il contributo in una bibliografia:
C. Bosacchi, Tenuità del fatto e reati con soglie di punibilità, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 6