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La nozione di ‘custodia’ nel diritto dell’Unione Europea, tra restrizione e privazione della libertà: la parola alla Corte di Giustizia

in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 10 – ISSN 2499-846X

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CGUE (IV Sezione), Sentenza 28 luglio 2016
Causa C‑294/16 PPU

Giurisdizione nazionale chiama, Corte di Giustizia risponde: con sentenza del 28 luglio 2016, la Quarta Sezione delle Corte di Lussemburgo ha risolto il dubbio interpretativo sollevato con procedura di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE da parte di un tribunale distrettuale polacco (il Sąd Rejonowy dla Łodzi – Śródmieścia w Łodzi).

L’oggetto della questione pregiudiziale che rese necessaria la sospensione del procedimento penale pendente avanti la giurisdizione polacca, riguardava l’interpretazione dell’art. 26, paragrafo 1 della Decisione Quadro 2002/584/GAI, che disciplina il mandato di arresto europeo (MAE) e le procedure di consegna tra Stati membri. Tale disposizione prevede che lo Stato membro che emette il MAE deve dedurre dalla durata totale della detenzione, che dovrà essere scontata nello stesso stato emittente in seguito alla condanna dell’imputato a una pena o misura di sicurezza privative della libertà, il periodo complessivo di “custodia” che risulta dall’esecuzione del mandato d’arresto europeo.

1. Il fatto

Nel caso di specie, nel marzo 2007 un cittadino polacco era stato condannato dal tribunale del rinvio ad una pena privativa della libertà di tre anni e due mesi di reclusione. Sottrattosi alla giustizia polacca, sette anni  più tardi veniva arrestato nel Regno Unito, in esecuzione dell’emesso MAE. In seguito ad una breve detenzione carceraria, veniva rilasciato dietro cauzione e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari notturni, associata alla sorveglianza elettronica. Gli era inoltre vietato richiedere il rilascio di documenti validi per l’espatrio, ed era gravato dall’obbligo di presentarsi regolarmente presso un commissariato di polizia e  di essere costantemente reperibile al telefono.

Avanti al giudice polacco, la difesa chiedeva che, alla luce del summenzionato art. 26 della Decisione Quadro, il periodo di arresti domiciliari associato a sorveglianza elettronica fosse computato ai fini della pena privativa della libertà inflitta all’imputato nel paese emittente. Si noti che l’art. 26 era stato trasposto nel diritto nazionale con la previsione ex art. 607f del codice di procedura penale polacca, la quale prevede la deduzione, dalla pena privativa della libertà inflitta o in corso di esecuzione, del periodo di “effettiva privazione della libertà” nello Stato di esecuzione del mandato.

2. La questione oggetto di rinvio

Ai fini dell’applicazione di tale disposizione si rendeva quindi necessario operare una corretta interpretazione del termine “custodia” contenuto nell’art. 26 della Decisione Quadro. Nello specifico, il Tribunale Polacco chiedeva alla Corte di Giustizia se il concetto di custodia, come inteso nel diritto dell’unione Europea, potesse comprendere anche le misure applicate dallo Stato di esecuzione del mandato, consistenti nella sorveglianza elettronica associata agli arresti domiciliari.

3. L’interpretazione della Corte

Nel rispondere alla questione pregiudiziale di cui era stata investita, la Corte di Giustizia ha preliminarmente ricordato che, stante il carattere vincolante della Decisione Quadro 2002/584/GAI, sullo stato membro di emissione grava l’obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale. Ciò significa che i giudici nazionali devono, nei limiti delle proprie competenze e senza proporre soluzioni contrarie al diritto nazionale, garantire la massima efficacia possibile alla Decisione Quadro fornendo un’interpretazione delle disposizioni interne ad essa conforme.

I giudici di Lussemburgo hanno successivamente puntualizzato che la nozione di custodia formulata nell’art. 26 par. 1 della Decisione Quadro, deve considerarsi “quale nozione autonoma del diritto dell’Unione” (1), che esige un’interpretazione autonoma e uniforme su tutto il territorio della stessa. A tal fine, sono da considerarsi irrilevanti le differenze linguistiche presenti nelle diverse formulazioni nazionali: non vi è una gerarchia tra le versioni linguistiche vigenti nell’Unione. In particolare, i termini “custodia” e “privazione della libertà” sono da considerarsi espressioni simili, entrambe richiamanti “una situazione in cui una persona è rinchiusa o incarcerata, e non una mera restrizione della libertà di movimento” (2).

In aggiunta a ciò, la Corte ha esaminato la disposizione alla luce del  contesto e dell’ obbiettivo generale della stessa. La normativa mira infatti al rispetto dei diritti fondamentali della persona, individuabili nel diritto alla libertà (ai sensi dell’art. 6 della Carta e dell’art. 5 CEDU) e nel principio di proporzionalità delle pene (art. 49 par. 3 della Carta). In particolare, il fine dell’art. 26 della Decisione Quadro è quello di evitare che il soggetto debba scontare, nel complesso, un periodo di custodia superiore a quello inflittogli con la condanna alla pena privativa della libertà.

Alla luce di queste considerazioni, i giudici dell’Unione hanno affermato che l’estensione dell’art. 26 non può essere limitata alla deduzione dalla pena complessiva dei soli periodi di carcerazione eventualmente scontati nel Paese di esecuzione del MAE. Al contrario, la disposizione in esame si deve applicare anche quando il soggetto sia stato sottoposto a misure diverse dalla carcerazione, purché, (ed è questa la differenza da considerare), tali misure siano state privative e non meramente restrittive della libertà (3).

La decisione della Corte guarda anche a Strasburgo, in virtù del principio di coerenza tra i principi garantiti dalla Carta e quelli garantiti dalla CEDU. L’ interpretazione fornita trova infatti suffragio nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, pronunciandosi in una caso simile a quello che qui ci occupa, in relazione dell’applicazione dell’art. 5 CEDU sul diritto alla libertà, aveva affermato che misure di permanenza obbligatoria presso un determinato luogo associata a sorveglianza, non costituivano una privazione della libertà ai sensi della disposizione menzionata.

Di conseguenza, il giudice dello Stato di emissione del MAE è tenuto a  compiere uno scrutinio delle misure prese nei confronti del soggetto nello Stato di esecuzione per verificare se queste possano essere equiparate ad una privazione della libertà e costituire in tal modo un’ipotesi di custodia ai sensi dell’art. 26 della Decisione Quadro.

4. Conclusione

Nel caso di specie si è quindi ritenuto che le misure applicate nel Regno Unito al cittadino polacco non possano assurgere, in linea di principio, al rango di “custodia”, in quanto non così restrittive da determinare un effetto di privazione della libertà. Tuttavia, i giudici di Lussemburgo non hanno escluso che il giudice nazionale del Paese di emissione possa comunque decidere, sulla base del solo diritto nazionale, di computare in tutto o in parte dalla durata totale della detenzione inflitta, il periodo in cui il soggetto abbia subito misure meramente restrittive della libertà. Questo perché l’art. 26 par.1 della Decisione Quadro si limita ad imporre solo un livello minimo di tutela dei diritti fondamentali della persona soggetta a MAE.


(1) Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 28 luglio 2016, nella causa C-294/16 PPU (“Sentenza”), para. 37.

(2) Sentenza, para. 40.

(3) Nello specifico: “[…]la nozione di «custodia», ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584, deve essere interpretata in modo da comprendere, oltre alla carcerazione, qualsiasi misura o insieme di misure imposte alla persona interessata che, in ragione del tipo, della durata, degli effetti e delle modalità di esecuzione, privino la persona interessata della libertà in modo analogo ad una carcerazione.”, Sentenza, para. 47.

Come citare il contributo in una bibliografia:
S. Carrer, La nozione di “custodia” nel diritto dell’Unione Europea, tra restrizione e privazione della libertà: la parola alla Corte di Giustizia, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 10