Eternit Bis: la decisione del Giudice dell’udienza preliminare, tra precedenti giurisprudenziali e criticità operative.
Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Torino
Dott.ssa Bompieri, 29 novembre 2016
Mettiamo a disposizione dei lettori le motivazioni delle sentenze pronunciate, lo scorso 29 novembre, dal G.u.p. del Tribunale di Torino, a conclusione dell’udienza preliminare del processo Eternit Bis.
Come già anticipato, sin dalla relativa apertura, nel maggio del 2015, due sono state le questioni che hanno costituito l’oggetto della discussione delle parti:
- per un verso, la valutazione in ordine alla violazione (ritenuta dalla difesa e negata dalla Pubblica Accusa e dalle parti civili) del principio del ne bis in idem;
- per altro verso, la correttezza della qualificazione giuridica del fatto, ricondotto, secondo l’ipotesi accusatoria della Procura, alla fattispecie di omicidio volontario continuato ed aggravato.
Così, dopo una prima sospensione in attesa della decisione della Corte Costituzionale (chiamata a pronunciarsi, lo si ricorda, in ordine alla legittimità ed all’interpretazione dell’art. 649 c.p.p., anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo) il processo è ripreso e l’attenzione si è concentrata, dapprima, sugli effetti, in concreto, dell’intervenuta Sentenza n. 200/2016 e, successivamente, sulla sussistenza, anche solo in misura “ragionevole” (in ossequio ai canoni che regolano l’udienza preliminare e la relativa funzione all’interno del processo penale), del dolo di omicidio in capo all’imputato.
Prima di affrontare, con ordine, i contenuti e i possibili effetti delle decisioni in commento, anticipiamo che, rigettate, con ordinanza, le eccezioni sollevate dalla difesa in materia di ne bis in idem, il Giudice dell’udienza preliminare ha ritenuto doversi procedere alla derubricazione dei reati di omicidio volontario continuato, riqualificando i fatti di causa in termini di omicidio colposo plurimo (ex art. 589, co. I, II e IV c.p.) aggravato dall’aver agito nonostante la previsione dell’evento (ex art. 61, n. 3, c.p.), con importanti ripercussioni sulla competenza territoriale del Giudice adito.
Sulla violazione del divieto di un secondo giudizio (art. 649 c.p.p.).
Con riguardo alla prima delle due questioni, si è trattato, in sostanza, di applicare i criteri che, pur nella complessità della già citata Sentenza n. 200/2016, la Corte Costituzionale aveva fornito al G.u.p. di Torino onde consentirgli di potersi pronunciare sulla natura di bis in idem del secondo processo Eternit.
Per completezza, riproponiamo, seppur in breve e per punti, i passaggi principali del ragionamento del Giudice delle Leggi:
- “Ai fini della decisione sull’applicabilità del divieto di bis in idem rileva il solo giudizio sul fatto storico”.
- Il “fatto storico” non è solo la “condotta”, ma, a contrario, è costituito da più elementi inscindibilmente collegati, che, ogni qualvolta ci si trovi a doversi pronunciare in ordine ad una presunta violazione del divieto di secondo giudizio, debbono essere oggetto di valutazione empirica e non giuridica: condotta, nesso causale, evento.
- Nel sistema della CEDU, così come in quello costituzionale, l’esercizio di una nuova azione penale è consentito solo se la contestazione mossa nel corso del primo giudizio (per come essa si è sviluppata nel processo) ed il fatto posto alla base della nuova iniziativa sono diversi.
- Per determinare la differenza o la sostanziale assimilabilità delle contestazioni, il giudice deve “porre a raffronto il fatto storico, secondo la conformazione identitaria che esso abbia acquisito all’esito del processo concluso con una pronuncia definitiva, con il fatto storico posto dal pubblico ministero a base della nuova imputazione”.
- Con la seguente ulteriore precisazione, direttamente riferibile al processo da cui la questione pregiudiziale originava: i fatti saranno certamente diversi qualora da un’unica condotta scaturisca la morte o la lesione dell’integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio, e dunque un nuovo evento in senso storico; ove, invece, tale giudizio abbia riguardato anche quella persona occorrerà accertare se l’evento (morte o lesioni) era già stato specificamente considerato, unitamente al nesso causale con la condotta dell’imputato.
Ferma la processabilità (si direbbe “ad oltranza”) dell’imputato Stephan Schmidheiny con riguardo alle morti da amianto verificatesi in epoca successiva al primo giudicato (e, verosimilmente, anche per tutti quelli che seguiranno) quanto agli altri decessi, già presi in considerazione nel primo processo, la valutazione operata dal Giudice dell’udienza preliminare è, dunque, consistita nel raffronto tra i fatti storici (secondo la conformazione identitaria che essi hanno acquisito nel corso ed all’esito) di tale primo giudizio e le nuove contestazioni mosse nel secondo.
Detto altrimenti, si è trattato di comprendere se, nel corso del primo processo, le singole morti fossero state oggetto di specifico accertamento in tutti i loro elementi (nesso causale compreso); e ciò, operando con riguardo ad entrambe le contestazioni originariamente formulate, che, com’è noto, riguardavano il disastro doloso aggravato dal verificarsi dell’evento (ex art. 434, co. II, c.p.) e l’omissione dolosa di cautele antinfortunistiche aggravata dalla verificazione degli infortuni (art. 437, co. II, c.p.).
Ad escludere rilievo individuale ai singoli eventi lesivi per entrambi gli addebiti, per la verità, erano già intervenuti gli stessi Giudici, di merito e di legittimità, chiamati a pronunciarsi nel primo processo Eternit.
Ed invero:
- Quanto alla fattispecie di cui all’art. 434, co. II, c.p., la Corte di Cassazione, con Sentenza n. 1292/2014, aveva, tra il resto, evidenziato il carattere unitario dell’evento disastro, inteso quale offesa alla vita ed alla salute di un numero indeterminato (e indeterminabile) di persone, unitamente alla mancata effettuazione, nelle more del processo, degli accertamenti sui nessi di causalità individuali (a fronte di un compendio probatorio sostanzialmente basato su indagini epidemiologiche svolte sulle popolazioni esposte all’amianto della Eternit). Non a caso, dunque, a tutte le parti civili era stato riconosciuto un (generico) danno da esposizione, che nulla aveva a che fare con le singole patologie riscontrate.
- Quanto al delitto di cui all’art. 437, co. II, c.p., la Corte d’Appello di Torino (per ultima pronunciatasi in ordine a tale fattispecie), quasi anticipando quello che sarebbe stato il ragionamento dei Giudici di legittimità, aveva segnalato come elemento costitutivo del reato de quo non fosse la singola malattia-infortunio, ma un fenomeno unitario di notevoli proporzioni, di cui i singoli eventi (mai stati oggetto di accertamento individuale) avevano costituito concreta manifestazione.
Ciò detto, se le suesposte considerazioni, prima della Sentenza n. 200/2016, potevano non sembrare sufficienti a dipanare i dubbi – i quali (forse), proprio nell’ottica di dirimere un contrasto (rivelatosi poi apparente), imponevano l’intervento “chiarificatore” del Giudice delle Leggi – a seguito di tale pronuncia le stesse sono, con ogni evidenza, divenute le linee guida indispensabili per operare il raffronto tra le contestazioni formulate all’imputato nel primo e secondo processo Eternit.
E, del resto, proprio in forza di tali suesposte conclusioni, rilevato che le singole morti contestate nel giudizio attualmente in corso mai erano stati esaminate individualmente, né quali eventi dei reati oggetto del primo processo, né, tantomeno, quali singoli “fatti storici” penalmente rilevanti, il Giudice dell’Udienza preliminare ha ritenuto, in primo luogo, doversi escludere che il processo Eternit bis costituisca un bis in idem (totale o parziale) rispetto al primo.
Sulla qualificazione giuridica dei fatti contestati all’imputato.
Com’è noto, quanto meno sino alla conclusione dell’udienza preliminare, il processo Eternit Bis ha visto Stephan Schmidheiny accusato dell’omicidio volontario, continuato ed aggravato, di 258 persone.
In forza di tale contestazione, l’imputato, pur consapevole degli effetti dannosi dell’amianto sulla salute dei lavoratori dell’Eternit (e non solo), avrebbe comunque deciso di proseguire le attività svolte negli stabilimenti, omettendo la predisposizione di qualsivoglia misura di prevenzione o protezione, con ciò esponendo i lavoratori ed i cittadini al pericolo (poi effettivamente concretizzatosi) di contrarre le patologie asbesto-correlate e, conseguentemente, accettando il rischio del verificarsi di innumerevoli casi di morte da amianto.
Trattavasi, indubbiamente, di un’ipotesi di accusa “coraggiosa” perchè “impegnativa” a livello di accertamento processuale, presupponendo, oltre al resto, la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’imputato Schmidheiny avesse, all’epoca dei fatti, la cognizione e (soprattutto) la volizione (in via diretta o anche solo eventuale) di ogni singolo futuro evento morte asbesto-correlato.
Trattavasi, forse, di un’ipotesi di accusa che richiedeva (quantomeno) l’espletamento dell’istruttoria dibattimentale, onde poterne valutare con piena e definitiva contezza la portata e la relativa sostenibilità.
E tuttavia, il Giudice dell’udienza preliminare, in forza dell’ormai costante orientamento giurisprudenziale secondo cui rientra nei propri poteri la riqualificazione giuridica del fatto, in quanto l’esatta attribuzione del nomen iuris è connaturale all’esercizio della giurisdizione (in tal senso, ex multis, Cassazione penale, sez. III, 18/09/2014, n. 51424) ha disposto la derubricazione del reato contestato, riqualificando le singole morti da amianto in termini di omicidio colposo (ai sensi di cui all’art. 589, co. I, II e IV, c.p.), aggravato dalla colpa cosciente (art. 61, n. 3, c.p.).
Quanto alle ragioni di tale decisione, esse debbono ricondursi sia a quanto (più o meno espressamente) previsto dal codice di rito in ordine ai poteri/doveri del Giudice durante la fase dell’udienza preliminare, sia, sotto un profilo di diritto sostanziale, ai precedenti giurisprudenziali ormai costanti in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali.
Così, per un verso, conformemente alle regole che disciplinano l’udienza preliminare (all’esito della quale il G.u.p. è chiamato a pronunciarsi sulla ragionevole sostenibilità dell’accusa in giudizio, sulla scorta degli elementi probatori posti a fondamento della stessa), l’organo giudicante si è ragionevolmente determinato nel senso riferito, ritenendo che, nel caso in cui il giudizio fosse proseguito con l’originaria contestazione di omicidio volontario, anche il Giudice del dibattimento sarebbe pervenuto alla disposta derubricazione, così, di fatto, anticipando una pronuncia che, diversamente, avrebbe comportato un importante dispendio di tempo e di energie processuali.
In effetti, in forza dei propri poteri (pur se non espressamente previsti dal codice di rito) di verifica in ordine alla correttezza della qualificazione giuridica posta al suo vaglio, il G.u.p. di Torino ha ritenuto che il compendio probatorio risultante dalle indagini espletate non fosse in linea con la struttura materiale della contestazione, operando la riqualificazione de qua.
Da ultimo, e sotto un profilo più “sostanziale”, nella decisione in esame, ha, con ogni evidenza, giocato un ruolo importante (se non addirittura fondamentale) la Sentenza, emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nell’ambito del (tristemente) celebre processo Thyssenkrupp [Cass. Pen, Sezioni Unite, 18 settembre 2014 (ud. 24 aprile 2014), n. 38343].
Com’è noto, anche in tale giudizio l’ipotesi di accusa originaria per l’amministratore delegato della Società era di omicidio doloso, per aver omesso di intervenire con misure di prevenzione e protezione a tutela degli operai pur essendo consapevole dei rischi strutturali dell’azienda e delle possibili conseguenze degli stessi.
Anche nel corso di tale giudizio, tuttavia, i fatti erano stati riqualificati (in secondo grado) quali omicidi colposi aggravati dalla colpa cosciente; e, nel confermare la decisione in tal senso assunta dalla Corte di Assise di Appello di Torino, la Cassazione, aveva determinato, (forse) una volta per tutte, la linea di confine tra il dolo eventuale e la colpa cosciente.
Pur facendo espresso rinvio ai numerosi commenti già pubblicati in merito, ricordiamo brevemente ai lettori quanto statuito, in tale occasione, dalla Suprema Corte:
“In ossequio al principio di colpevolezza, la linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente va individuata considerando e valorizzando la diversa natura dei rimproveri giuridici che fondano la attribuzione soggettiva del fatto di reato nelle due fattispecie.
Nella colpa si è in presenza del malgoverno di un rischio, della mancata adozione di cautele doverose idonee a evitare le conseguenze pregiudizievoli che caratterizzano l’illecito. Il rimprovero è di inadeguatezza rispetto al dovere precauzionale anche quando la condotta illecita sia connotata da irragionevolezza, spregiudicatezza, disinteresse o altro motivo censurabile, In tale figura manca la direzione della volontà verso l’evento, anche quando è prevista la possibilità che esso si compia (“colpa cosciente”).
Per contro, nel dolo si è in presenza di un’organizzazione della condotta che coinvolge, non solo sul piano rappresentativo, ma anche volitivo, la verificazione del fatto di reato. In particolare, nel “dolo eventuale”, che costituisce la figura di margine della fattispecie dolosa, un atteggiamento interiore assimilabile alla volizione dell’evento e quindi rimproverabile, si configura solo se l’agente prevede chiaramente la concreta, significativa possibilità di verificazione dell’evento e, ciononostante, si determina ad agire, aderendo ad esso per il caso in cui si verifichi. Occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificato nella fattispecie concreta. A tal fine è richiesto al giudice di cogliere e valutare analiticamente le caratteristiche della fattispecie, le peculiarità del fatto, lo sviluppo della condotta illecita al fine di ricostruire l’iter e l’esito del processo decisionale”.
Anche la valutazione in ordine alla sussistenza del dolo eventuale richiede, pertanto, un rigido accertamento dei due momenti (rappresentativo e volitivo) che lo compongono, indispensabile per poter desumere che il soggetto attivo abbia agito accettando non più il “mero” rischio dell’evento, ma, di fatto, aderendo all’evento stesso e determinandosi a proseguire nella propria condotta pur prevedendone concretamente la possibilità di verificazione.
Trattasi di una verifica oltremodo complessa (non foss’altro perché richiede un’indagine vieppiù approfondita in ordine alla soggettività dell’agente) che rischia (forse) di divenire eccessivamente onerosa, specie con riguardo ai processi (come quello di cui trattasi) aventi ad oggetto infortuni sul lavoro e malattie professionali, ove l’accertamento dell’elemento soggettivo richiede imprescindibilmente di essere calato anche nel contesto in cui l’evento si è concretamente verificato; che è ciò che si è verificato nel caso di specie ed ha condotto (unitamente alle ragioni supra riferite) il Giudice dell’udienza preliminare a ritenere non potersi proseguire, nei confronti dell’imputato, con l’accusa di omicidio volontario.
Le conseguenze dell’intervenuta riqualificazione giuridica: la contestuale declaratoria di incompetenza territoriale.
L’intervenuta derubricazione di ciascun fatto (condotta-nesso causale-singola morte) quale omicidio colposo aggravato (in assenza di qualsivoglia specificazione in ordine alla sussistenza di un vincolo di continuazione tra i reati così come riqualificati) ha spiegato inevitabili conseguenze in ordine alla competenza territoriale del Giudice adito che, com’è noto, segue l’insieme di regole disposte dagli artt. 8 e 9 c.p.p.
In particolare, essendo la competenza per territorio “determinata”, in prima battuta, “dal luogo in cui il reato è stato consumato” e, in particolare, ove dal fatto sia derivata la morte di più persone, dal luogo in cui “è avvenuta l’azione o l’omissione”, la riqualificazione operata dal G.u.p. di Torino ha comportato la contestuale necessità di pronunciarsi in ordine a 258 omicidi colposi, parte dei quali consumatisi presso gli stabilimenti di Cavagnolo, altra parte presso quelli di Casale Monferrato, altra parte ancora presso quelli di Bagnoli, parte, infine, presso la Eternit di Rubiera dell’Emilia.
Ed invero, come pacificamente statuito dalla Suprema Corte, «l’art. 589 comma 3 c.p. (morte e lesioni colpose in danno di più persone) non prevede un’autonoma figura di reato complesso, ma integra un’ipotesi di concorso formale di reati, nella quale l’unificazione è sancita unicamente “quoad poenam”, con la conseguenza che ciascun reato resta autonomo e distinto ai fini della determinazione del giudice competente per materia» [Cass. Pen., sez. I, 24/05/2001, n. 27019].
Ne è conseguito (a seguito di un’estensione analogica di tali conclusioni anche alla disciplina della competenza per territorio) uno smembramento del processo in favore di quattro diversi Fori italiani, ove competente a giudicare sarà, nell’ambito di ciascun Foro, il Tribunale in composizione monocratica.
Nel dettaglio, per quanto riguarda le morti verificatesi in Cavagnolo, il Giudice, riconosciutosi competente, ha disposto il rinvio a giudizio dell’imputato (all’udienza fissata per il prossimo 14 giugno 2017, innanzi al Tribunale di Torino) con riguardo a due soli casi di omicidio, dichiarando, per contro, l’intervenuta prescrizione in ordine ad altri tre decessi.
A tal specifico riguardo, in particolare, il G.u.p. di Torino, riprendendo quanto già espresso in tema di competenza, ha rilevato che «il reato di omicidio colposo plurimo non è configurabile come reato unico ma come concorso formale di più reati, unificati soltanto quoad poenam, sicché il termine di prescrizione del reato va computato con riferimento a ciascun evento di morte o di lesioni, dal momento in cui ciascuno di essi si è verificato» [Cass. Pen., sez. IV, 03/06/2015, n. 36024].
Né, del resto, prosegue il Giudice, tali predetti decessi avrebbero potuto beneficiare, in ragione di quanto disposto dall’art. 2, c.p., degli effetti delle riforme intervenute (successivamente ai medesimi) in relazione, da un lato, al trattamento sanzionatorio del reato in esame e, dall’altro verso, al raddoppiamento del termine prescrizionale di cui all’art. 157, co. VI, c.p.
Quanto, invece, ai “restanti” 253 omicidi, pronunciatasi ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 22, co. I, c.p.p., la dott.ssa Bompieri ha dichiarato con sentenza num. 1911/2016 la propria incompetenza (in favore dei Tribunali di Vercelli, Napoli e Reggio Emilia), ordinando la trasmissione degli atti del procedimento ai Pubblici Ministeri presso i Fori competenti.
Uno sguardo al futuro: i prossimi processi Eternit Bis tra criticità, prescrizioni e nuove imputazioni.
Le decisioni assunte dal Giudice dell’udienza preliminare sono, con ogni evidenza, destinate a spiegare importanti conseguenze in ordine al futuro (più o meno prossimo) del processo Eternit, come ipotizzate e riassunte nelle seguenti brevi considerazioni conclusive.
Nel “breve termine”, l’intervenuto smembramento del giudizio, per un verso, impone la relativa prosecuzione, innanzi al Tribunale di Torino, in forza di una contestazione che rischia di risultare poco coerente avuto riguardo dei fatti cristallizzati nel capo di imputazione (rimasto, di per sé, immutato); per altro verso, comporta un inevitabile allungamento dei tempi processuali in relazione agli ulteriori procedimenti da incardinarsi, stante la disposta trasmissione degli atti ai Pubblici Ministeri dei Fori ritenuti competenti.
In relazione a tali ulteriori processi, peraltro, si potrebbero, in ipotesi, presentare anche problemi afferenti alla titolarità dell’esercizio dell’azione penale, oltreché all’intervenuta prescrizione di innumerevoli fatti di reato che, sino al 29 novembre scorso, erano oggetto di addebito in termini di omicidio doloso.
Così, i Pubblici Ministeri competenti si potrebbero trovare di fronte ad un bivio: proseguire con l’accusa “indicata” dal G.u.p. di Torino ovvero ritenere doversi comunque contestare l’omicidio volontario, pur nel rischio (non troppo remoto) di replicare una seconda “tornata” di provvedimenti del tipo di quelli oggetto di commento?
Trattasi di decisione di non poco conto, in ragione degli effetti che la medesima spiegherebbe in materia di prescrizione: ed invero, non v’è chi non veda che l’intervenuta qualificazione del reato in termini di omicidio colposo comporta, quale automatico effetto, che tutte le morti intervenute sino ai primi anni del 2000 risultino inesorabilmente prescritte, con l’inevitabile relativa espunzione da parte delle Procure competenti.
Da ultimo e nel “lungo termine”, l’esclusione di qualsivoglia violazione del divieto di secondo giudizio per le contestazioni (presenti, ma anche future) delle morti da amianto, sembra consentire, quanto meno in linea teorica, di ammantare l’imputato della veste di “eterno processabile/processato”; con tutte le (inevitabili) considerazioni e conseguenze inerenti l’operatività, nel nostro ordinamento, del concetto di “abuso del diritto”.
Trattasi com’è evidente, di mere ipotesi e di dubbi che, come tali, potranno essere fugati solo all’esito dei futuri sviluppi processuali, certamente “tracciati”, e, tuttavia, specie nelle more dei termini per impugnare le Sentenze emesse, ancora incerti.