L’aggravante di cui all’art. 61 comma 1 n. 11 quinquies c.p. e la legittimazione del minore a costituirsi parte civile
in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 12 – ISSN 2499-846X
Cassazione Penale, Sez. III, 27 ottobre 2016 (ud. 17 maggio 2016), n. 45403
Presidente Rosi, Relatore Liberati
La decisione trae origine da un ricorso avverso una sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste, pronunciata in sede di udienza preliminare per il reato di cui agli all’art. 61 n. 11 quinquies, art. 609 bis c.p., art. 609 ter n. 5 ter c.p. La contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 11 quinquies era motivata dal fatto che il delitto di violenza sessuale era stato consumato costringendo la figlia minore ad assistere alla violenza.
Al di là del merito della pronuncia di proscioglimento, nella fattispecie sottoposta all’attenzione della Suprema Corte il ricorso proposto dal tutore della minore, costituitasi parte civile, è stato ritenuto ammissibile, stante la piena legittimazione della stessa per effetto della contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 11 quinquies, che consente di ritenerla persona offesa.
La Suprema Corte coglie l’occasione per approfondire gli effetti processuali di una siffatta contestazione, muovendo dalla ratio normativa. La disposizione de qua, com’è noto, è stata introdotta dal d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni nella L. 15 ottobre 2013, n. 119 , e prevede un aggravamento di pena «nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all’art. 572 c.p.» laddove il fatto sia commesso «in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di una persona in stato di gravidanza».
Il legislatore ha così attribuito una specifica rilevanza giuridica alla cd. violenza assistita, consistente nel “complesso di ricadute di tipo comportamentale, psicologico, fisico, sociale e cognitivo, nel breve e lungo termine, sui minori costretti ad assistere ad episodi di violenza e, soprattutto, a quelli di cui è vittima la madre”. La previsione normativa si inserisce nel contesto di misure volte a fronteggiare fenomeni di emergente disagio ed allarme sociale, primo fra tutti la violenza contro minori e donne. Nell’ottica di rafforzamento della tutela, in particolar modo, delle vittime di violenza domestica, la disposizione codicistica è informata all’inasprimento sanzionatorio delle condotte contrassegnate dall’esposizione del minore alla diretta percezione di atti di violenza, sia nei confronti di altri componenti del nucleo familiare, sia di terzi. Una specifica indicazione in tal senso è peraltro contenuta nell’art. 46 lett. d) della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
Alla luce della ratio ispiratrice della norma, ne consegue pertanto che il minore che abbia assistito ad uno dei delitti indicati nella disposizione codicistica può essere considerato anch’egli persona offesa del reato. In altri termini, continua la Corte, la configurabilità della circostanza aggravante in esame comporta un’estensione dell’ambito della tutela penale in favore del minore, costretto ad assistere agli atti di violenza.
A ben vedere, nei delitti selezionati dall’aggravante in esame, si assiste ad una scissione tra il soggetto passivo del reato ed il danneggiato dal medesimo (ossia colui che, in conseguenza del reato, subisce un danno patrimoniale o non patrimoniale risarcibile). Tale distinzione assume un particolare rilievo sul piano applicativo: se anche al mero danneggiato è riconosciuta la facoltà di costituirsi parte civile nel processo penale ai sensi dell’art. 74 c.p.p., alla sola persona offesa, per converso, rimangono ascritte altre facoltà, in primis quella di sporgere querela ex art. 120 c.p.
Nella fattispecie concreta scrutinata dalla Corte di Cassazione si è affermata così la piena legittimazione della minore, quale persona offesa per effetto della contestazione di detta aggravante, a costituirsi parte civile nel procedimento relativo alla violenza sessuale commessa nei confronti della madre ed alla quale dovette assistere, e, dunque, a proporre ricorso avverso la decisione di proscioglimento dell’imputato.
Nella vicenda in esame, il giudice dell’udienza preliminare ha disposto il rinvio a giudizio dell’imputato in relazione ai reati di lesioni aggravate e maltrattamenti, sulla base di quanto esposto dalla persona offesa nella denuncia querela (nonostante le ritrattazioni innanzi al pubblico ministero e nel corso dell’incidente probatorio), nonché di quanto dichiarato dalla minore al pubblico ministero (nonostante la sua ritrattazione nel corso dell’incidente probatorio) ed anche delle altre sommarie informazioni acquisite, prosciogliendo, invero contraddittoriamente, l’imputato dal reato di violenza sessuale commesso in danno della medesima p.o. (aggravato, ai sensi dell’art. 61 c.p. , n. 11 quinquies c.p., per avere costretto ad assistervi la figlia minore), in considerazione della insufficienza degli elementi probatori raccolti per disporre il rinvio a giudizio.
Data l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, nonché l’esorbitanza dalle attribuzioni proprie del giudice dell’udienza preliminare – avendo egli, nella specie, compiuto un vero e proprio giudizio sulla colpevolezza dell’imputato – la Suprema Corte ha ritenuto di disporre l’annullamento della sentenza impugnata e la restituzione degli atti al Tribunale di merito.
Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Aliatis, L’aggravante di cui all’art. 61 comma 1 n. 11 quinquies c.p. e la legittimazione del minore a costituirsi parte civile, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 12