Ancora sulla rilevanza della convivenza more uxorio: l’art. 649 c.p. torna alla Corte Costituzionale
in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 7-8 – ISSN 2499-846X
Tribunale di Matera, ordinanza, 21 aprile 2017
Giudice dott. G. Di Giuseppe
1. Negli ultimi decenni la Corte Costituzionale è stata chiamata a fare i conti, con una certa regolarità, con il tema della rilevanza da riconoscere alla famiglia di fatto nell’ordinamento penale. Con altrettanta regolarità la Corte si è sempre mostrata restìa nell’accogliere le questioni sollevate, preferendo tener ben salda la distinzione tra famiglia legittima e famiglia di fatto (si pensi, su tutte, alle questioni sollevate con riferimento all’art. 384 c.p.).
L’occasione è data, questa volta, dall’ordinanza con cui il Tribunale di Matera ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p. (Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti) per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui non stabilisce la non punibilità anche dei fatti criminosi previsti dal titolo XIII del libro II del codice penale commessi in danno di un convivente more uxorio.
2. In aggiunta ai profili di (il)legittimità costituzionale già in passato più volte sottoposti alla Corte Costituzionale – per i quali si rinvia alla lettura dell’ordinanza – il provvedimento merita attenzione per gli spunti relativi alla recente regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso attuata dal Legislatore con Legge 20 maggio 2016, n. 76 la quale, come è noto, ha avuto ripercussioni anche sull’ordinamento penale.
Come anticipato su questa rivista, infatti, con il Decreto Legislativo 19 gennaio 2017, n. 6 (entrato in vigore l’11 febbraio 2017), il Legislatore è intervenuto al fine di coordinare l’ordinamento penale (sostanziale e processuale) con la disciplina delle unioni civili di cui alla Legge 20 maggio 2016, n. 76. Nell’ambito di questa opera di armonizzazione del sistema, si è intervenuti anche sull’art. 649 c.p. introducendo il comma 1-bis attraverso il quale si è prevista la non punibilità nel caso in cui i fatti di cui alla norma siano commessi “in danno della parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.
Proprio il paragone tra le unioni civili tra persone dello stesso sesso (oggi ricomprese nell’art. 649 c.p.) e la convivenza more uxorio (che ne risulta esclusa), ad avviso del giudice a quo dovrebbe spingere la Corte Costituzionale ad effettuare una nuova valutazione della questione che tenga conto «dell’attuale realtà sociale, senza alcun dubbio profondamente mutata rispetto a quella esistente ed esaminata dal Legislatore storico, nell’ottica di un’esegesi in sintonia ed al passo con i tempi dello stesso concetto costituzionale di famiglia».
Questa nuova valutazione si rende necessaria – a maggior ragione – «all’indomani dell’entrata in vigore della legge sulle unioni civili, costituenti il complesso portato ed agognato punto di approdo della presa d’atto di un mutato costume sociale e dell’esistenza di nuclei familiari ontologicamente diversi dalla classica famiglia fondata sul matrimonio, ma nondimeno connotati, in punto di fatto, da una affectio e da una comunanza di vita e di intenti tra i propri componenti».
In conclusione – si legge nell’ordinanza – si ritiene «irragionevole, irrazionale e gravemente discriminatorio l’attuale assetto di disciplina tra il trattamento dei reati commessi in danno di coniuge non legalmente separato o di una parte di una unione di persone dello stesso sesso (non punibili ex art. 649 c.p.) e quelli commessi in danno di convivente more uxorio (punibili perché non applicabile l’art. 649 c.p.)».
3. A livello di giurisprudenza costituzionale, due le pronunce da richiamare.
La prima è la n. 352 del 2000 con la quale la Corte, muovendo dalla premessa tale per cui «la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale, in quanto priva dei caratteri di stabilità e certezza propri del vincolo coniugale, essendo al contrario basata sull’affectio quotidiana, liberamente ed in ogni istante revocabile», ha concluso che «non è irragionevole che — particolarmente nella disciplina di cause di non punibilità, quale quella in esame, basate sul «bilanciamento» tra contrapposti interessi— il legislatore adotti soluzioni diversificate per la famiglia fondata sul matrimonio, contemplata nell’art. 29 della Costituzione, e per la convivenza more uxorio».
La seconda è la n. 223 del 2015 ed è relativa ad un caso in cui il giudice a quo – come nel caso di specie – aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p. in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. In quest’ultimo caso la Corte, pur dichiarando inammissibile la questione, ha tuttavia esplicitamente ammesso l’anacronismo della disposizione: «non stupisce – si legge nella sentenza – che una causa di non punibilità concepita in epoca segnata dal ruolo dominante del marito e del padre, già criticata in epoca risalente per la sua inopportunità, sia posta oggi in discussione»; tuttavia, «la discrezionalità legislativa si esercita non solo nella espressione di nuove scelte normative, ma anche nella stessa conservazione, nel tempo, dei valori normativi già affermati nell’ordinamento» e alla Corte, come è noto, è precluso «ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento».
Ciò posto, non ravvisando i presupposti per un suo intervento, la Corte non ha potuto che sollecitare la «forte opportunità di un intervento di riforma e aggiornamento della disciplina dei reati contro il patrimonio commessi in ambito familiare che realizzi, pur nella perdurante valorizzazione dell’istituzione familiare e della relativa norma costituzionale di presidio (art. 29 Cost.), un nuovo bilanciamento, in questo settore, tra diritti dei singoli ed esigenze di tutela del nucleo familiare».
Come citare il contributo in una bibliografia:
G. Stampanoni Bassi, Ancora sulla rilevanza della convivenza more uxorio: l’art. 649 c. p. torna alla Corte Costituzionale, in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 7-8