ARTICOLIDIRITTO PROCESSUALE PENALE

In caso di annullamento con rinvio è incompatibile il Gip che si è già pronunciato – C. Cost. 183/2013

Corte Cost., Sentenza n. 183 del 9 luglio 2013 
Presidente Gallo, Relatore Frigo

Depositata il 9 luglio la sentenza numero 183 del 2013 della Corte Costituzionale.
La questione è stata sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri, il quale dubitava della legittimità costituzionale degli articoli 34 e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio del giudice che, quale giudice dell’esecuzione, abbia pronunciato ordinanza di accoglimento o di rigetto della richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato, annullata dalla Corte di cassazione.
Tali norme, ad avviso del giudice, violerebbero l’art. 111, secondo comma, della Costituzione, in forza del quale il giudice deve essere terzo e imparziale, non apparendo tale il giudice che, dopo essersi pronunciato su una questione esprimendo un giudizio di merito – quale quello inerente alla riconducibilità di distinti fatti di reato a un unico disegno criminoso – venga nuovamente chiamato a decidere la medesima questione e, altresì l’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’ingiustificata disparità di trattamento tra le fasi della cognizione e dell’esecuzione, posto che, nell’ipotesi in cui il giudice abbia deciso con sentenza in fase cognitiva, l’annullamento con rinvio della sua decisione comporta, ai sensi dell’art. 623 cod. proc. pen., l’impossibilità per quel giudice di pronunciare nuovamente sulla vicenda, mentre ciò non avviene se il medesimo giudizio è espresso in sede esecutiva, e dunque mediante ordinanza.
I giudici costituzionali hanno ritenuto fondata la questione.
In particolare, è stato osservato dalla Consulta che il tema riguarda i limiti di operatività della incompatibilità cd. “verticale”, con riferimento alla quale, giova premettere che, per reiterata affermazione di questa Corte, le norme sull’incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, di cui all’art. 34 cod. proc. pen., presidiano i valori della sua terzietà e imparzialità, attualmente oggetto di espressa previsione nel secondo comma dell’art. 111 Cost., aggiunto dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione), ma già in precedenza pacificamente insiti nel sistema costituzionale.
Le predette norme risultano volte, in particolare, ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla “forza della prevenzione” – ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto – scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda (ex plurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 del 2010 e n. 224 del 2001).
Il comma 1 dell’art. 34 cod. proc. pen. limita, tuttavia, l’incompatibilità “verticale” al giudice che, in un grado del procedimento, abbia pronunciato o concorso a pronunciare «sentenza»: con ciò escludendo, a contrario, che l’incompatibilità scatti a fronte dell’avvenuta pronuncia di provvedimenti di altro tipo, e segnatamente di ordinanze: si tratta di soluzione espressiva, in linea generale, dell’intento di conservare, da un lato, l’unità di giudizio all’interno del grado, che sarebbe inopportuno frammentare, e di evitare, dall’altro, una eccessiva dilatazione dell’area dell’incompatibilità.
Con specifico riferimento all’incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio, la previsione dell’art. 34, comma 1, cod. proc. pen. viene, peraltro, a saldarsi con le disposizioni dell’art. 623 cod. proc. pen., che individuano il giudice competente a pronunciare dopo l’annullamento da parte della Corte di cassazione. L’insussistenza dell’incompatibilità nel caso di annullamento di un’ordinanza trova, per questo verso, specifica conferma. Il citato art. 623 prende, infatti, espressamente in considerazione l’esigenza di evitare la coincidenza soggettiva tra giudice del rinvio e giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato solo con riguardo alle sentenze (lettera d): mentre, nel caso di annullamento di un’ordinanza, si limita puramente e semplicemente a stabilire che gli atti debbano essere trasmessi «al giudice che l’ha pronunciata» (lettera a).
Alla luce di tale dato normativo la giurisprudenza di legittimità ha, quindi, reiteratamente affermato che in sede di rinvio può provvedere lo stesso giudice-persona fisica che ha pronunciato l’ordinanza annullata.
La mancata previsione dell’incompatibilità in tale ultima ipotesi confligge, tuttavia, con entrambi i parametri evocati dal giudice rimettente, determinando una incongruenza interna tra la ratio dell’art. 671 cod. proc. pen. e i suoi effetti.
Pertanto, gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. vanno dichiarati, pertanto, costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen.

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Redazione Giurisprudenza Penale

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