Bancarotta e pene accessorie: la Cassazione solleva questione di legittimità costituzionale
Cassazione Penale, Sez. I, 17 novembre 2017 (ud. 6 luglio 2017), n. 52613
Presidente Di Tomassi, Relatore Minchella
Come avevamo anticipato, all’esito dell’udienza del 6 luglio scorso, la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 216 u.c. e 223 u.c. L. Fall., in relazione agli articoli 3, 4, 41, 27 e 117 Cost. – quest’ultimo in relazione agli artt. 8 Cedu e 1 prot. n. 1 Cedu – nella parte in cui prevedono che alla condanna per uno dei fatti previsti in detti articoli conseguono obbligatoriamente, per la durata di dieci anni, le pene accessorie della inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e della incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
La questione riguarda la legittimità delle norme citate (l’ultimo comma dell’art. 216 L. Fall. dispone che «salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa») nella parte in cui sanciscono la pena accessoria interdittiva della durata fissa di dieci anni, quale che sia la gravità in concreto del reato e l’entità della pena irrogata.
In data odierna sono state depositate le motivazioni dell’ordinanza.
In punto di diritto, si segnala anche un’ulteriore questione degna di rilievo, relativa alla possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale nell’ambito del giudizio di rinvio instaurato a seguito di una decisione (di annullamento con rinvio) della Corte di Cassazione.
Sul punto, la Corte di Appello di Bologna aveva aderito all’orientamento tale per cui cui la questione di legittimità costituzionale doveva considerarsi inammissibile, dal momento che sulla stessa si era già pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza di annullamento con rinvio.
Di diverso avviso sono stati i giudici di legittimità, i quali hanno sposato l’indirizzo – fatto proprio da alcune pronunce della Corte Costituzionale – favorevole alla proponibilità delle questioni nei giudizi di rinvio, «non potendosi condividere il dubbio che il regime delle preclusioni, proprio del giudizio di rinvio, impedisca la proposizione di una questione di legittimità costituzionale di quella norma da cui cui è stato tratto il principio cui il giudice del rinvio deve uniformarsi».
Tale conclusione è avvalorata – aggiunge la Corte – da un lato, dal fatto che l’art. 24 legge n. 87/1963 dispone che l’eccezione può essere riproposta «all’inizio di ogni ulteriore grado del processo» (implicitamente ammettendo quale unico limite quello della non riproponibilità nell’ambito del medesimo grado), dall’altro, dalla considerazione tale per cui «l’unico organo che può definitivamente pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di una norma è la Corte Costituzionale» (cosicché deve escludersi che una pronuncia di annullamento con rinvio della Corte di Cassazione possa avere effetti preclusivi in tal senso).