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Legittima difesa: il giudice deve valutare tutti gli elementi antecedenti all’azione che possano aver generato l’erroneo convincimento di doversi difendere – Cass. Pen. 13370/2013

Cass. Pen., Sez. I, 21 marzo 2013 (ud. 5 marzo 2013), N. 13370
Pres. Bardovagni – Rel. Boni – P.M. Mazzotta

Depositata il 21 marzo 2013 la sentenza numero 13370 della prima sezione penale della Suprema Corte in tema di legittima difesa.
La pronuncia trae origine da una condanna alla pena di anni 12 di reclusione resa all’esito di un giudizio abbreviato da parte del Tribunale per i Minorenni di Catania: l’imputato era riconosciuto colpevole dei reati di omicidio volontario, lesioni personali e porto abusivo di armi; in secondo grado la Corte d’Appello di Catania riduceva la pena ad anni 10 e mesi 8 di reclusione.
I giudici di merito ritenevano destituita di fondamento la tesi difensiva prospettata dall’imputato, secondo il quale egli aveva agito per difendersi solo dopo essere stato aggredito ed aveva colpito il primo senza essersene accorto e senza la volontà di ucciderlo; escludevano altresì di poter ravvisare l’esimente della legittima difesa, anche a livello putativo, per la sproporzione tra offesa e reazione portata contro un ragazzino la cui capacità offensiva avrebbe potuto essere facilmente contenuta da un giovane di tre anni più vecchio, e per il fatto che il colpo era stato sferrato quando l’altro si era già rialzato da terra, ove era finito per gli strattoni dell’avversario.
Proponeva ricorso per Cassazione l’imputato lamentando, tra i vari motivi, il negato riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 52 c.p.; la sentenza impugnata non aveva ricostruito correttamente i fatti accaduti e non aveva tenuto conto che, in relazione a quanto accaduto nei giorni precedenti, egli era stato intimorito ed aveva temuto di subire un’ingiusta aggressione.
La Suprema Corte, nel ritenere infondati i motivi di ricorso, ha riconosciuto che la Corte di Appello ha correttamente richiamato l’orientamento interpretativo, espresso da questa Corte, secondo il quale “ai fini della legittima difesa putativa, l’errore scusabile che può giustificare la scriminante putativa deve trovare adeguata giustificazione in qualche fatto che, seppure malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell’agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo attuale di una offesa ingiusta sulla base di dati di fatto concreti, e cioè di una situazione obiettiva atta a far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in presenza di un pericolo presente ed incombente, non futuro o già esaurito, di un’ offesa ingiusta.
In particolare, i giudici di legittimità hanno sancito il principio secondo cui l’accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa reale o putativa e dell’eccesso colposo deve essere effettuato con un giudizio “ex ante” calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie sottoposta all’esame del giudice secondo una valutazione di carattere relativo, e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, dovendo egli esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un’ingiusta aggressione, senza tuttavia che possano considerarsi sufficienti gli stati d’animo o i timori personali.

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Redazione Giurisprudenza Penale

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