La nuova norma sulla rinnovazione in appello della istruzione dibattimentale approda alla Consulta. La Corte di appello di Trento solleva questione di legittimità costituzionale
Corte di appello di Trento, Sezione penale
Ordinanza 20 dicembre 2017
Informiamo il lettore di un nuovo passo ermeneutico in merito all’articolo 603 c.p.p., così come novellato dalla recente riforma Orlando.
Come noto, la citata riforma ha imposto al Giudice di seconde cure di rinnovare la prova dichiarativa, ogni volta che (i.) l’imputato sia stato prosciolto in primo grado, e (ii.) il Pubblico Ministero proponga appello per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa.
Tale norma costituisce la trasposizione in legge di un principio sancito dalla Corte EDU (Dan c. Moldavia, Lorefice c. Italia), nonché dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza n. 27620/2016, Dasgupta), e si fonda sul principio secondo cui l’eventuale sovvertimento della decisione in senso sfavorevole impone un contatto diretto del Giudice con la prova (sul tema, questa Rivista ivi e ivi).
Un successivo approdo, sempre da parte delle Sezioni Unite, ha poi stabilito che la norma deve applicarsi anche nelle ipotesi in cui nel processo di primo grado non si tenga alcuna istruzione dibattimentale, perché il giudizio sia definito allo stato degli atti, come accade nel caso del rito abbreviato non condizionato (sentenza n. 18620/2017, Patalano).
Orbene, a giudizio della Corte di appello di Trento, che ha emesso l’ordinanza più sotto allegata, proprio quest’ultima interpretazione dell’art. 603 c.p.p. renderebbe tale norma contraria alla Costituzione, per violazione degli articoli 111 e 117.
Vediamo rapidamente le motivazioni addotte nell’ordinanza con riferimento alla rilevanza e non manifesta infondatezza della questione.
La Corte trentina preliminarmente nota come le pronunce sopra citate della Corte EDU e della Cassazione hanno fondato l’obbligo della rinnovazione nel dettato dell’art. 6 §3 lettera d) della Convenzione EDU, secondo cui l’imputato ha il diritto di esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico. E ritiene, la Corte d’appello, che tale diritto debba ritenersi rinunciabile dall’imputato, come in effetti accade quando lo stesso formula richiesta di definizione del procedimento allo stato degli atti (cd. rito abbreviato non condizionato).
In altre parole, non avrebbe senso imporre in appello l’esame di testi in contraddittorio, quando in primo grado questo non è avvenuto per effetto del consenso delle parti.
Inoltre, una simile imposizione violerebbe l’art. 111 Cost., sotto tre profili.
Per prima cosa, essa si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo. In una situazione, come quella del giudizio abbreviato, in cui l’imputato decide, in ottica deflativa e premiale, di rinunciare al dibattimento in primo grado, una norma che obblighi a disporre attività istruttoria in appello renderebbe il processo irragionevolmente lungo, con conseguente violazione dell’art. 111 comma 2.
In secondo luogo, ne uscirebbe frustrato anche l’art. 111 comma 5, laddove affida alla legge il compito di regolare i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato. E proprio in ossequio al dettato costituzionale, la legge ha disciplinato il giudizio abbreviato, prevedendo che la scelta del rito da parte dell’imputato abbia l’effetto di escludere l’attività istruttoria in ogni grado del processo. L’interpretazione offerta dalle Sezioni Unite, nell’obbligare a svolgere attività istruttoria in questo contesto violerebbe tanto la volontà dell’imputato, quanto il suddetto principio costituzionale.
In ultimo, la norma in tal modo interpretata violerebbe anche il principio di parità delle armi nel processo, sancito ancora dall’art. 111 comma 2. Infatti, l’equilibrio simmetrico del giudizio abbreviato, fondato sulla rinuncia al contraddittorio, da un lato, e sullo sconto di pena, dall’altro lato, verrebbe compromesso da un obbligatorio ripristino del contraddittorio in appello.
La Corte di appello rileva infine la contrarietà della norma in oggetto all’art. 117 Cost., per violazione di una norma europea, in tutti i casi nei quali la prova rinnovata consista nell’esame della persona offesa.
Si tratta segnatamente della Direttiva 2012/29/UE (su cui questa Rivista, ivi), che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, trasposta, per ciò che riguarda l’Italia, nel D. lgs. n. 212/2015.
In particolare, l’art. 20 della Direttiva prescrive che il numero delle audizioni della vittima sia limitato al minimo. E una rinnovazione obbligatoria del suo esame nel giudizio abbreviato d’appello, poiché superflua in quanto contraria alla volontà dello stesso imputato, si porrebbe in contrasto con tale disposizione europea e, per conseguenza, con l’art. 117 comma 1.