Il controllo effettivo sul mandato di perquisizione: l’Italia non passa l’esame CEDU
in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 12 – ISSN 2499-846X
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sezione Prima, Sentenza Brazzi c/ Italia 27 settembre 2018,
Ricorso n. 57278/11
Con la sentenza Brazzi c. Italia del 27 settembre 2018 la Corte EDU ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione in un caso concernente una perquisizione domiciliare espletata dalla polizia tributaria.
I fatti in breve
Il ricorrente, residente in Germania ma proprietario di immobile ad uso abitativo sito in Italia, veniva sottoposto a verifica fiscale nel 2010. Nell’ambito di tale operazione, il 6 luglio la Procura della Repubblica di Mantova emanava un primo provvedimento che autorizzava la guardia di finanza ad entrare nell’abitazione italiana del ricorrente al fine di individuare e sequestrare materiale probatorio. A tale provvedimento seguiva l’intervento dei finanzieri che il 13 luglio chiedevano al fratello del ricorrente, lì di passaggio, di permettere loro l’accesso all’abitazione, senza tuttavia motivare la richiesta.
A seguito di tale primo accesso, il ricorrente, impossibilitato a recarsi in Italia, si metteva in contatto con la guardia di finanza, dichiarando di non aver ricevuto alcuna informazione sulla verifica fiscale in corso a suo carico, ma di essere comunque a piena disposizione delle autorità italiane quanto alla produzione di documenti e altro materiale probatorio. Tuttavia, con provvedimento dello stesso 13 luglio, il Procuratore avviava un’indagine penale nei confronti del ricorrente ed emetteva ex art. 257 c.p.p. mandato di perquisizione dell’abitazione e dei veicoli del ricorrente, per esistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di evasione fiscale.
La perquisizione domiciliare veniva effettuata il 6 agosto 2010, in presenza del padre del ricorrente e, al termine dell’operazione, non veniva sequestrato alcun documento. Il GIP di Mantova archiviava il caso su richiesta del Procuratore, formulata sulla base di una memoria difensiva presentava dal ricorrente. Quest’ultimo adiva in seguito la Corte di Cassazione lamentando l’illegittimità dell’ordinanza del 13 luglio, in quanto la verifica fiscale avrebbe potuto essere effettuata con altri mezzi, non lesivi del diritto al rispetto del suo domicilio. La Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso per tre ordini di motivi: (i) l’art. 257 c.p.p. prevede che un mandato di perquisizione possa essere oggetto di riesame solo ove abbia portato ad un sequestro di beni; (ii) in caso di violazione di norme sullo svolgimento della perquisizione sono possibili solo sanzioni disciplinare nei confronti degli agenti della polizia tributaria che avevano eseguito le operazioni; (iii) non è ammissibile un ricorso diretto alla Cassazione ex art. 111 Costituzione in quanto una perquisizione domiciliare non ha alcun impatto sulla libertà personale.
Il ricorso avanti alla Corte EDU
Esperiti i rimedi interni, il ricorrente adiva la Corte di Strasburgo, lamentando la violazione degli artt. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 6 (diritto a un equo processo) e 13 (diritto a un ricorso effettivo).
Il Governo eccepiva l’irricevibilità del ricorso ai sensi dell’art. 35 §3 b) della Convenzione in quanto “il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio importante (…)”.
Sul punto, la Corte in sentenza ha rilevato che “Questo criterio di irricevibilità, che si ispira al principio generale de minimis non curat praetor, si basa sull’idea che la violazione di un diritto, anche reale da un punto di vista puramente giuridico, deve raggiungere un minimo di gravità per poter essere esaminata da un tribunale internazionale. La valutazione di questo minimo è relativa per natura; dipende da tutti gli elementi della causa” (sentenza, § 26, traduzione del Ministero della Giustizia italiano). Nel caso di specie, la Corte ha riconosciuto che la causa non presentava per sé un valore economico, tuttavia, considerando la percezione soggettiva del ricorrente che aveva ripetutamente contestato il provvedimento, ha valorizzato l’importanza della questione di principio legata al rispetto dei propri beni e domicilio.
La Corte ha in seguito individuato la questione focale della fattispecie, e cioè “l’esistenza, nell’ordinamento italiano, di un efficace controllo giurisdizionale rispetto a una misura di perquisizione, ossia una questione di principio importante sia a livello nazionale che sul piano convenzionale” (sentenza, § 28), ritenendo la doglianza ricevibile.
Lo scrutinio sul merito
Partendo dal presupposto che la perquisizione oggetto della causa costituisce una «ingerenza delle autorità pubbliche» nel diritto alla vita privata dell’interessato, la Corte ricorda che la stessa, per essere legittima, deve soddisfare i requisiti di cui all’art. 8 § 2 CEDU e cioè essere: (i) prevista dalla legge, (ii) ispirata da uno o più scopi legittimi; (iii) necessaria in una società democratica.
Nel caso di specie lo scrutinio si incentra sulla compatibilità dell’ingerenza pubblica con il principio dello stato di diritto, ossia sulla presenza nel diritto interno di un controllo effettivo delle misure lesive dell’art. 8 CEDU al fine di evitare l’arbitrarietà dello Stato.
Sul punto la Corte ha rilevato anzitutto che la perquisizione in questione è intervenuta in una fase precoce del procedimento penale e ha ribadito quanto affermato nella sua precedente giurisprudenza, e cioè che una perquisizione effettuata in questa fase deve offrire garanzie adeguate e sufficienti per evitare che venga usata per fornire alle autorità incaricate dell’inchiesta elementi compromettenti su persone non ancora identificate come sospettate di aver commesso un reato (Modestou c. Grecia, n. 51693/13, § 44, 16 marzo 2017).
Pertanto, ha affermato la Corte, “nei casi in cui la legislazione nazionale non prevede un controllo giurisdizionale ex ante factum sulla legalità e sulla necessità di tale misura istruttoria, dovrebbero esistere altre garanzie, in particolare sul piano dell’esecuzione del mandato, di natura tale da controbilanciare le imperfezioni legate all’emissione e, eventualmente, al contenuto del mandato di perquisizione. Nella fattispecie, la Corte osserva che la legislazione nazionale italiana non prevede un simile controllo ex ante nel quadro delle perquisizioni ordinate nella fase delle indagini preliminari. Non è infatti previsto che il pubblico ministero, nella sua qualità di magistrato incaricato dell’indagine, chieda l’autorizzazione di un giudice o lo informi della sua decisione di ordinare una perquisizione” (sentenza, § 43).
La mancanza di un controllo ex ante, inoltre, non è stata compensata dallo svolgimento di un controllo ex post della legittimità e della necessità della misura, in quanto nel caso di specie la perquisizione non ha permesso di raccogliere prova a carico del ricorrente ed il procedimento è stato archiviato dal GIP, il quale non ha compiuto alcun esame della misura.
Conclusioni
La Corte ha concluso quindi che “in assenza di un controllo giurisdizionale preventivo o di un controllo effettivo a posteriori della misura istruttoria impugnata, le garanzie procedurali previste dalla legislazione italiana non siano state sufficienti ad evitare il rischio di abuso di potere da parte delle autorità incaricate dell’indagine penale” (sentenza, § 50) e che l’interessato non ha potuto beneficiare di un “controllo effettivo”, come richiede lo stato di diritto in una società democratica.
Sulla base di tale considerazioni la Prima Sezione della Corte EDU ha ritenuto all’unanimità che lo Stato Italiano è incorso nella violazione dell’art. 8 della Convenzione e ha ritenuto di non dover esaminare il motivo ex art. 13 CEDU.
Sul sito del Ministero della Giustizia è possibile reperire la sentenza tradotta in italiano a cura del servizio traduzioni del Dipartimento per gli Affari di giustizia.
Come citare il contributo in una bibliografia
S. Carrer, Il controllo effettivo sul mandato di perquisizione: l’Italia non passa l’esame CEDU, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 12