ARTICOLIDIRITTO PENALE

Rapina impropria: il Tribunale di Torino solleva questione di legittimità costituzionale

Tribunale di Torino, Sez. III, Ordinanza, 9 maggio 2019
Giudice dott. Paolo Gallo

Segnaliamo ai lettori l’ordinanza con cui il Tribunale di Torino ha sollevato una questione di legittimità costituzionale in tema di rapina impropria.

Le perplessità da sempre avvertite in merito all’identità di trattamento sanzionatorio previsto per le due fattispecie di rapina (propria ed impropria) – si legge nell’ordinanza – «sono oggi accresciute dal recente inasprimento del trattamento sanzionatorio introdotto con la legge n. 103 del 23 giugno 2017, la quale ha portato il minimo edittale della pena detentiva di cui all’art. 628, comma 1, codice penale ad anni quattro di reclusione, ma nulla ha innovato per quanto concerne il comma 2 e l’effetto di trascinamento che esso prevede».

Ad avviso del giudice, tale assetto normativo si pone in contrasto, anzitutto, con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), dal momento che «il fatto che la violenza segua alla sottrazione, e non la preceda, non sembra poter essere considerato irrilevante dal punto di vista criminologico: esso demarca una diversa e meno grave struttura oggettiva del reato e un diverso atteggiamento soggettivo quanto a intensità del dolo e capacità a delinquere».

Un contrasto è stato ravvisato anche con l’art. 25 comma 2 Cost.: «la disposizione di cui all’art. 628 comma 2 c.p. si caratterizza per una vistosa indifferenza rispetto alle caratteristiche concrete del fatto: qualunque sottrazione, quando sia immediatamente seguita da violenza o minaccia, ancorché lievi, è reputata dal legislatore meritevole di almeno quattro anni di reclusione. Alla stregua dell’art. 628 comma 2 c.p., se un tentativo di furto è seguito da un atto violento o minatorio tutte le sopra elencate particolarità vengono «azzerate», e non v’è più differenza, ad esempio, se la violenza segue al furto di una costosa autovettura commesso con effrazione sulla pubblica via, ovvero segue al furto semplice di due bottiglie di liquore in un supermercato. La disposizione in esame, in altre parole, si rivela una disposizione «rozza» in cui tutto viene sacrificato sull’altare della «esemplarità» sanzionatoria».

E’ stato poi richiamato anche l’art. 27 comma 2 Cost. in quanto «l’inflizione di quattro anni di reclusione più multa per la sottrazione di due bottiglie di liquore seguite da qualche strattone non può essere considerata una risposta sanzionatoria proporzionata. Ciò risulta particolarmente vero ove si raffronti la condizione dell’autore di una rapina impropria — ancora una volta — da un lato con quella dell’autore di una rapina propria (che cioè ha consapevolmente scelto ab initio di usare violenza alla persona), dall’altro con la condizione di chi abbia usato violenza alla persona in un momento non immediatamente seguente alla sottrazione, e che perciò risponderà di furto e violenza privata».

Il nostro ordinamento penale – si legge nell’ordinanza – «non ha alcun bisogno della disposizione dell’art. 628, comma 2 del codice penale: le norme che disciplinano le varie ipotesi di furto (consumato o tentato, semplice o aggravato) consentono una repressione penale adeguata alle caratteristiche delle diverse condotte predatorie possibili, mentre le disposizioni in tema di violenza e minaccia come strumento di coazione dell’altrui volontà (articoli 610 e 337 c.p.) consentono parimenti un’adeguata repressione della successiva condotta violenta del ladro, sia che essa segua immediatamente alla sottrazione, sia che sia attuata dopo un tempo più lungo. Ove si obietti che questa soluzione comporterebbe un indebolimento della risposta dello stato al delitto, va osservato che la stragrande maggioranza dei processi per rapina impropria concerne, come è noto a chi amministra da tempo la giustizia penale, episodi di modestissima gravità, rispetto ai quali la sanzione minima di quattro anni di reclusione appare vistosamente sproporzionata, mentre per i pochi episodi di più elevato allarme sociale la prudente applicazione giudiziale delle norme sopra citate, e un consapevole governo dei criteri di determinazione della pena di cui all’art. 133 codice penale, assicurano comunque un trattamento sanzionatorio equo».

In conclusione, si è chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare sic et simpliciter l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, comma 2 codice penale, fermi restando tutti i rimanenti commi del medesimo articolo, così rendendo applicabili, a quelle ipotesi che attualmente si configurano come casi di «rapina impropria», le disposizioni di cui agli articoli da 624 a 626 del codice penale e agli articoli 610 e 337 del codice penale.

Redazione Giurisprudenza Penale

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