Riflessioni sulla codifica di un “peculiare” modello di gestione e organizzazione per il comparto alimentare: limiti attuali, prospettive di riforma e spunti comparatistici.
in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 1-bis – ISSN 2499-846X
Il cibo ha assunto in quest’epoca una dimensione culturale centrale. Nel contesto in cui viviamo di massificazione globale dei consumi e di lunghe catene di fornitura è sempre più sentita la necessità di conoscere il percorso produttivo di ciò di cui ci nutriamo. Ciò anche a fronte delle costanti minacce di contraffazione, frode e cibo contaminato nonché della oramai radicata presenza delle agromafie, i “nuovi” colletti bianchi della tavola che in modo strutturato ed organizzato commettono food crimes. I rapporti dell’Osservatorio agromafie evidenziano che gli illeciti alimentari sono oramai da considerarsi alla stregua di allarmanti fenomeni di criminalità economica.
La sicurezza alimentare costituisce, dunque, la direzione verso la quale è necessario che questo comparto produttivo si muova. Essere conformi alla normativa sulla tracciabilità rappresenta la risposta alle esigenze manifestate da un mercato sempre più concorrenziale dove la reputazione aziendale assume un valore essenziale, un mercato che richiede un miglioramento dell’efficienza interna ma anche della comunicazione esterna. Il consumatore “moderno” è mediamente più interessato a conoscere il cibo di cui si nutre: si è imposta l’idea di una scelta consapevole ed adeguata del cibo ma in quest’epoca caratterizzata da un’economia del distanziamento a causa di una supply chain complessa e articolata è sempre più difficile potersi “fidare” della qualità del prodotto.
La risposta delle aziende a questo fenomeno non può che consistere nell’attuazione di sistemi di controllo, protocolli, procedure che permettano di risalire alle varie fasi di produzione e distribuzione, in altre parole l’adozione di un modello di organizzazione ad hoc. D’altronde nell’attuale sistema economico avere la possibilità di offrire un valore aggiunto rappresenta un vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza illegale ed estera che produce con standard differenti e si posiziona sul mercato italiano giocando sul basso prezzo.
In questo contesto, a fronte dell’attuale sistema di tutela apprestato dal diritto penale e dalla legislazione alimentare, si impone la necessità di una rielaborazione dei reati alimentari, la revisione della legislazione speciale ma, in via principale, l’adeguamento della vigente normativa in materia di responsabilità delle persone giuridiche allo specifico comparto alimentare recependo anche gli indirizzi della normativa europea, della standardizzazione privata e della soft law. Considerata la dimensione che hanno assunto gli scambi commerciali, l’impresa rappresenta la principale forma per il mercimonio del patrimonio alimentare e la risposta a tale fenomeno si dovrebbe tradurre nella previsione di un’apposita disciplina dei modelli di gestione puntando sulla diretta responsabilizzazione dell’impresa fulcro di interessi e quindi strumento atto a favorire fenomeni illeciti. In tal senso muove il DdL di riforma dei reati alimentari approvato e presentato alla Camera il 6 marzo 2020.
Come citare il contributo in una bibliografia:
C. Catrini, Riflessioni sulla codifica di un “peculiare” modello di gestione e organizzazione per il comparto alimentare: limiti attuali, prospettive di riforma e spunti comparatistici, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 1-bis