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La Cassazione esclude il bis in idem penal-tributario in caso di dichiarazione infedele.

[a cura di Lorenzo Nicolò Meazza]

Cass. pen., Sez. III, Sent. 4 febbraio 2021 (ud. 14 gennaio 2021), n. 4439
Presidente Marini, Relatore Corbetta

Il sistema del ‘doppio binario’ è giustificato dalla rilevanza degli interessi nazionali e dalla diversità dei fini perseguiti dalle due procedure: mentre il procedimento amministrativo è volto al recupero a tassazione delle imposte non versate, il procedimento penale è teso alla prevenzione e alla repressione dei reati in materia tributaria. In altri termini, la minaccia di una sanzione detentiva per condotte particolarmente allarmanti (essendo previste soglie di punibilità), in aggiunta a una sanzione amministrativa pecuniaria, persegue, infatti, legittimi scopi di rafforzare l’effetto deterrente spiegato dalla mera previsione di quest’ultima, di esprimere la ferma riprovazione dell’ordinamento a fronte di condotte gravemente pregiudizievoli per gli interessi finanziari nazionali ed europei, nonché di assicurare ex post l’effettiva riscossione degli importi evasi da parte dell’amministrazione grazie ai meccanismi premiali connessi all’integrale saldo del debito tributario”. 

Tale interpretazione ha mosso la Corte di Cassazione a escludere la sussistenza del principio del ne bis in idem in relazione a sanzione penale (ex art. 4 D.Lgs. 74/2000) e amministrativa relative al medesimo fatto di dichiarazione infedele.

Nel caso di specie, a seguito dell’accertamento con adesione con pagamento di imposta evasa, oltre a sanzioni e interessi, il contribuente nel successivo procedimento penale aveva invocato l’applicazione del divieto di doppia incriminazione, fondandosi i due strumenti punitivi sul medesimo illecito e avendo già scontato la sanzione tributaria, considerata “sostanzialmente penale”.

Gli Ermellini hanno rigettato il ricorso di legittimità e confermato la condanna pronunciata nei primi due gradi di giudizio, prendendo le mosse dal dictum della sentenza della Consulta del 24 ottobre 2019, n. 222, sulla legittimità dell’art. 649 c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e 117, comma 1, Cost. – quest’ultimo in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU (pubblicata in questa Rivista, ivi).

La Corte Costituzionale aveva, difatti, puntualizzato come “la mera sottoposizione di un imputato a un processo penale per il medesimo fatto per il quale egli sia già stato definitivamente sanzionato in via amministrativa non integra, sempre e necessariamente, una violazione del ne bis in idem.
Nella fondamentale sentenza A e B contro Norvegia, la Grande Camera della Corte EDU ha ritenuto che debba essere esclusa la violazione del diritto sancito dall’art. 4 Prot. n. 7 CEDU allorché tra i due procedimenti – amministrativo e penale, che sanzionano il medesimo fatto – sussista un legame materiale e temporale sufficientemente stretto; legame che deve essere ravvisato, in particolare: a) quando le due sanzioni perseguano scopi diversi e complementari, connessi ad aspetti diversi della medesima condotta; b) quando la duplicazione dei procedimenti sia prevedibile per l’interessato; c) quando esista una coordinazione, specie sul piano probatorio, tra i due procedimenti; d) quando il risultato sanzionatorio complessivo, risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e della pena, non risulti eccessivamente afflittivo per l’interessato, in rapporto alla gravità dell’illecito. Al contempo, come già affermato dalla sentenza n. 43 del 2018 – si dovrà valutare, ai fini della verifica della possibile lesione dell’ad 4 Prot. n. 7 CEDU, se le sanzioni, pur convenzionalmente penali, appartengano o no al nocciolo duro del diritto penale, perché in caso affermativo si sarà più severi nello scrutinare la sussistenza del legame e più riluttanti a riconoscerlo in concreto”.

Per la Cassazione, in definitiva, non si possono considerare violati i principi anzidetti, dal momento che nel giudizio d’appello erano stati correttamente accertati:

  • la sussistenza di una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta tra il procedimento amministrativo e quello penale, che presero avvio pressoché contestualmente; l’avviso di accertamento e l’avviso di conclusione delle indagini furono notificati, rispettivamente, il 9 aprile 2015 e il 16 aprile 2015 (in ogni caso, tale requisito va valutato con riferimento all’instaurazione dei procedimenti, i quali, essendo governati da regole e principi diversi, hanno necessariamente tempi di definizione non coincidenti);
  • l’insussistenza di una duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, posto che l’accertamento eseguito in sede tributaria è sostanzialmente confluito nel giudizio penale;
  • la proporzionalità complessiva della sanzione; all’imputato sono stati riconosciuti l’attenuante speciale di cui all’art. 13 bis D.Lgs. 74/2000, i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, mentre non sono state applicate le sanzioni accessorie e nel procedimento amministrativo la sanzione è stata applicata nella misura minima; ciò a dimostrazione che l’ordinamento italiano, nell’irrogare la sanzione penale, tiene in debita considerazione gli esiti della procedura amministrativa.

 

Redazione Giurisprudenza Penale

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