La Cassazione sul reato di esercizio abusivo di intermediazione finanziaria e sul concorso con il reato di truffa.
[a cura di Lorenzo Roccatagliata]
Cass. pen., Sez. V, Sent. 5 gennaio 2021 (ud. 24 novembre 2020), n. 155
Presidente De Gregorio, Relatore Scordamaglia
Con la pronuncia in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione quinta, si è pronunciata – fra l’altro – sulla natura del reato di abusivismo finanziario (art. 166, d. lgs. n. 58/1998) e sui rapporti di questa fattispecie con il reato di truffa (art. 640 c.p.).
La vicenda riguardava un soggetto che aveva professionalmente erogato, senza essere in possesso della prescritta abilitazione, nell’esercizio di un’attività d’impresa, servizi di investimento finanziario e, così facendo, aveva indotto parte della propria clientela a versargli somme di denaro, che, tuttavia, non aveva investito nell’acquisto degli strumenti finanziari promessi, ma aveva utilizzato per l’acquisto di monete d’oro, che poi aveva trattenuto presso di sé, ovvero, previo riversamento nei conti personali o dei genitori, per rimborsare i clienti che avevano chiesto la restituzione delle somme corrispostegli, appropriandosi, in tal modo, del denaro e delle monete.
1. La natura del reato di esercizio abusivo di intermediazione finanziaria.
La Corte ha anzitutto ricordato che “in tema di esercizio abusivo di intermediazione finanziaria, è incontrastato approdo interpretativo quello secondo il quale integra la fattispecie delittuosa di cui all’art. 166 d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 la raccolta di denaro presso privati risparmiatori, senza autorizzazione amministrativa e senza l’iscrizione dell’intermediario nell’apposito albo (…), in funzione della conclusione di contratti aventi ad oggetto operazioni su strumenti finanziari per conto dei clienti sottoscrittori: ciò a condizione che l’attività, anche se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di destinatari, sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di soggetti e sia svolta professionalmente, ovvero in modo continuativo e non occasionale”.
Ha poi ulteriormente chiarito il Collegio che “[non] rileva, agli stessi fini, l’effettivo impiego di quanto versato dal cliente nello strumento finanziario prospettato dal promotore abusivo, posto che ciò costituisce un post factum estraneo alla struttura del reato in questione (…): viene in rilievo, infatti, un reato di pericolo, con la conseguenza che, una volta che i risparmi del risparmiatore siano immessi nel mercato mobiliare dal soggetto non abilitato – e, quindi da soggetto idoneo a ledere l’interesse dell’investitore, del complessivo interesse del mercato mobiliare e dei singoli operatori – non ha rilevanza in quale modo – fedele o infedele – sia avvenuta la gestione dei risparmi dell’investitore (…)”.
Sul punto, infine, ha affermato la Corte che “integra il delitto di esercizio abusivo dell’attività di intermediazione finanziaria anche l’attività di consulenza, prestata al fine di reperire un proficuo programma di investimento, accompagnata dal mandato del cliente, atteso che questa non è prodromica all’esercizio dell’attività di intermediazione finanziaria, consentita solo ai soggetti debitamente autorizzati, ma ne è parte integrante e come tale è disciplinata (…)”.
2. I rapporti tra l’abusivismo finanziario e la truffa.
In tema, ha chiarito il Collegio che “il reato di abusivismo, previsto dall’art. 166 d. lgs 24 febbraio 1998, n. 58 può concorrere con il reato di truffa, stante la sostanziale differenza esistente tra le due fattispecie, in quanto l’abusivismo è reato di pericolo, inteso a tutelare l’interesse degli investitori a trattare soltanto con soggetti affidabili nonché l’interesse del mercato mobiliare, nel suo complesso e nei suoi singoli operatori, ad escludere la concorrenza di intermediari non abilitati; la truffa, invece, è reato di danno, che, per la sua esistenza, richiede l’effettiva lesione del patrimonio del cliente, per effetto di una condotta consistente nell’uso di artifizi o raggiri e di una preordinata volontà di gestire il risparmio altrui in modo infedele”.