ARTICOLIDIRITTO PENALE

La Cassazione ribadisce che la compensazione di debiti previdenziali e assistenziali con crediti inesistenti rientra nella condotta tipica del reato di indebita compensazione.

[a cura di Lorenzo Roccatagliata]

Cass. pen., Sez. III, Sent. 8 gennaio 2021 (ud. 18 settembre 2020), n. 389
Presidente Andreazza, Relatore Andronio

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione terza, ha risolto la questione di diritto se integra il reato di indebita compensazione (art. 10 quater, comma 2, d. lgs. n. 74/2000) il fatto di compensare con crediti inesistenti debiti di natura previdenziale e assistenziale.

Si anticipa subito che la Corte ha fornito risposta positiva, nel solco del proprio prevalente orientamento, nonché della giurisprudenza costituzionale (si veda, in particolare, Corte cost., Sentenza n. 35/2018 con commento critico di Riccardo Lucev).

Nel caso di specie il Tribunale del Riesame aveva annullato il decreto di sequestro preventivo disposto per il reato di indebita compensazione, contestato all’indagato per il fatto di avere indebitamente compensato debiti erariali, previdenziali e assistenziali con crediti di imposta inesistenti derivanti da investimenti in aree svantaggiate. Il Giudice della cautela aveva ritenuto mancanti i presupposti per il mantenimento della misura ablativa, condividendo le doglianze difensive secondo cui il reato di indebita compensazione si configura esclusivamente quando il debito estinto mediante compensazione afferisce alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non anche quando crediti inesistenti relativi a tali imposte siano utilizzati, come nel caso di specie, per compensare debiti di altra natura, come quelli previdenziali e assistenziali.

Avverso l’ordinanza aveva proposto ricorso per cassazione la competente Procuratore della Repubblica, deducendo l’erronea applicazione dell’art. 10 quater del d. lgs. n. 74 del 2000: secondo il prevalente orientamento della Corte di cassazione (ex multis Cass. n. 5934/2019) l’indebito risparmio di imposta che la norma incriminatrice tende a colpire non può essere limitato al mancato versamento delle imposte dirette o dell’Iva, ma coinvolge necessariamente anche le somme dovute a titolo previdenziale e assistenziale, il cui mancato pagamento, attraverso lo strumento della compensazione effettuata utilizzando crediti inesistenti o non spettanti, determina per il contribuente infedele un analogo risparmio di imposta.

La Corte ha accolto il ricorso, facendo leva sul fatto che “l’orientamento prevalente di questa Corte, richiamato come tale anche nella sentenza n. 35 del 2018 della Corte costituzionale, ha ritenuto che il reato di indebita compensazione possa configurarsi sia in caso di compensazione ‘verticale’, riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione ‘orizzontale’, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, in quanto può avere ad oggetto tutte le somme dovute che possono essere inserite nell’apposito modello F24, incluse quelle relative ai contributi previdenziali e assistenziali. Tale giurisprudenza ravvisa la ratio della disposizione in esame nella necessità di punire tutti quei comportamenti che si concretizzano in realtà nell’omesso versamento del dovuto e nel conseguimento di un indebito risparmio di imposta mediante l’indebito ricorso al meccanismo della compensazione tributaria, ossia attraverso la materiale redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione che non avrebbe potuto avere luogo, o per la non spettanza o per l’inesistenza del credito”.

In questa prospettiva, ha ritenuto la Corte che “risponde, dunque, del reato ex art. 10 quater del d. lgs. n. 74 del 2000 non solo, come è pacifico, chi omette di versare imposte dirette o l’IVA utilizzando indebitamente in compensazione crediti concernenti altre imposte o crediti di natura previdenziale, ma anche chi si avvalga di analogo artificio per evitare di corrispondere tali ultime imposte ovvero contributi dovuti ad enti di previdenza. La norma in esame, in altri termini, si presta a reprimere l’omesso versamento di somme di denaro attinente a tutti i debiti, sia tributari, sia di altra natura, per il cui pagamento deve essere utilizzato il modello di versamento unitario, con la conseguenza che sono sottoposti a tale disciplina sia le compensazioni di debiti Iva o imposte sui redditi con altri tributi e contributi dovuti sia le compensazioni di questi ultimi tributi e contributi con crediti Iva e imposte dirette, potendo venire in rilievo, sul lato attivo o passivo del rapporto obbligatorio, qualunque tributo o contributo che possa essere opposto in compensazione secondo le norme generali”.

Siffatta conclusione ermeneutica è stata raggiunta a partire anzitutto da “ragioni legate al tenore letterale della disposizione, che si riferisce genericamente all’omesso versamento di ‘somme dovute’, senza prevedere alcuna limitazione alle compensazioni verticali o orizzontali che estinguano unicamente debiti relativi alle imposte dirette o Iva”.

In secondo luogo, essa è fondata su “ragioni di carattere sistematico, dal momento che non può essere condiviso il rilievo, pur formulato da parte della giurisprudenza (…), secondo il quale la disposizione in esame risulterebbe inserita in un testo normativo, quale è il d. lgs. n. 74 del 2000, diretto a sanzionare unicamente le violazioni in materia di Iva e di imposte sui redditi. Può osservarsi, in contrario, che sono presenti all’interno del suddetto decreto almeno due norme poste anche ad eventuale presidio di tributi diversi dall’Iva e dall’imposta sui redditi: l’art. 10 bis, rubricato ‘omesso versamento di ritenute dovute o certificate’, e l’art. 11, rubricato ‘sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte’ che, al comma 2, punisce, con la reclusione da sei mesi a quattro anni, chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica, nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila”.

Infine, la Corte ha rilevato che “l’orientamento giurisprudenziale qui non condiviso fa perno anche sulla speciale causa di non punibilità del pagamento del debito tributario (art. 13, comma 1, d.lgs. n. 274 del 2000), che sarebbe disciplinata in termini incompatibili con obblighi di natura diversa, perché, parificando le tre fattispecie di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater del medesimo decreto, confermerebbe che quella contemplata dall’art. 10-quater, come le altre due, punisce sempre e solo l’omesso versamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto”.

A tali considerazioni, però, il Collegio ha obiettato che “il richiamato art. 13, comma 1, si limita semplicemente a prevedere che non sono più perseguibili penalmente le omissioni oggetto delle richiamate fattispecie incriminatorie, quando il contribuente versi integralmente le somme dovute all’Erario, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi maturati, prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento di primo grado. Chiaro è l’intento premiale di tale istituto che si muove nell’ottica, condivisibile, di una politica criminale e fiscale volta maggiormente alla tutela del bene giuridico protetto (il corretto gettito fiscale) piuttosto che alla ‘punizione esemplare’ dei trasgressori. La parificazione tra le fattispecie degli art. 10-bis, 10-ter e 10-quater, risiede, dunque, nel fatto che, per gli omessi versamenti e per l’indebita compensazione, il contribuente ha correttamente indicato il proprio debito tributario, a differenza di quanto invece avviene per i reati dichiarativi, per i quali, il comma 2 del richiamato art. 13 richiede, ai fini della non punibilità, la spontaneità della resipiscenza del contribuente”.

Redazione Giurisprudenza Penale

Per qualsiasi informazione: redazione@giurisprudenzapenale.com