La Cassazione sulla responsabilità del datore di lavoro e dell’ente per infortuni sul luogo di lavoro.
[a cura di Lorenzo Roccatagliata]
Cass. pen., Sez. IV, Sent. 25 gennaio 2021 (ud. 21 ottobre 2020), n. 2848
Presidente Piccialli, Relatore Dawan
Con la sentenza in epigrafe la Corte di cassazione, Sezione quarta, ha ribadito alcuni importanti principi nella materia degli infortuni sul lavoro, con riguardo sia alla responsabilità penale del datore di lavoro, sia alla responsabilità amministrativa dell’ente.
In tema di responsabilità penale, La Corte ha ricordato che “il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro”.
Inoltre, “nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro e di coloro che rivestono una posizione di garanzia rispetto alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente o imprudente del medesimo lavoratore infortunato, quando l’evento sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Sul punto, si è pure precisato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni”.
In senso conforme, si richiamano le pronunce della medesima Sezione n. 28726/20, n. 29585/20, n. 29609/20, n. 32194/20.
Sul fronte della responsabilità amministrativa, la Corte si è soffermata in particolare sui requisiti alternativi dell’interesse o del vantaggio dell’ente dalla commissione del reato. La Corte ha affermato che “in materia di responsabilità amministrativa con riguardo all’art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001, l’interesse e/o il vantaggio vanno letti, nella prospettiva patrimoniale dell’ente, come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all’aumento della produttività non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale (…). In altri termini, nei reati colposi, l’interesse e/o vantaggio si ricollegano al risparmio nelle spese che l’ente dovrebbe sostenere per l’adozione delle misure precauzionali ovvero nell’agevolazione dell’aumento di produttività che può derivare, per l’ente, dallo sveltimento dell’attività lavorativa, ‘favorita’ dalla mancata osservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, ne avrebbe ‘rallentato’ i tempi”.
Da ultimo, merita rilevare il dictum della Corte con riguardo agli effetti della prescrizione del reato sull’illecito amministrativo. In tema, la Corte ha ricordato che “la dichiarazione di prescrizione del reato presupposto non incide sulla perseguibilità dell’illecito amministrativo già contestato [all’ente]. L’art. 60 d. Igs. 8 giugno 2001, n. 231 è, infatti, chiaro nel suo contenuto normativo e comporta che l‘estinzione per prescrizione del reato presupposto impedisca unicamente all’accusa di procedere alla contestazione dell’illecito amministrativo ma non impedisca di portare avanti il procedimento già incardinato. Trovano, peraltro, applicazione all’illecito amministrativo le cause interruttive della prescrizione previste dal codice civile e, pertanto, la prescrizione non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento”.