Le somme di denaro provenienti da causa lecita depositate successivamente alla consumazione del reato non possono essere sottoposte a sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto.
[a cura di Lorenzo Roccatagliata]
Cass. Pen., Sez. III, Sent. 25 febbraio 2021 (ud. 9 settembre 2020), n. 7434
Presidente Sarno, Relatore Corbetta
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione terza, si è pronunciata in tema di sequestrabilità – ai fini della confisca del profitto di reati tributari – di somme di denaro depositate su conto corrente.
In apertura, la Corte ha ricordato che “ove il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (…); e ciò, implicitamente, proprio perché la natura fungibile del bene, che (…) si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ed è tale da perdere – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica, rende superfluo accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita; ‘ciò che rileva’, proseguono le Sezioni Unite, è che ‘le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo’”.
Tuttavia, ha precisato il Collegio, “ove si abbia invece la prova che tali somme non possano proprio in alcun modo derivare dal reato, le stesse neppure possono, evidentemente, rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte (…), e, dunque, non sono sottoponibili a sequestro, difettando in esse la caratteristica di profitto, pur sempre necessaria per potere procedere, in base alle definizioni e ai principi di carattere generale, ad un sequestro, come quello di specie, in via diretta”.
Conclusivamente, la Corte ha affermato che “il sequestro preventivo finalizzato alla confisca in forma diretta del profitto derivante dal delitto di indebita compensazione (…) può avere ad oggetto il saldo attivo presente sul conto corrente sociale al momento della consumazione del reato, coincidente con la presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato – sul rilievo indiziario che le disponibilità monetarie si siano accresciute per il risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell’imposta -, restando onere della difesa allegare circostanze specifiche da cui desumere che, alla data di consumazione del reato, non vi fossero sul predetto conto somme liquide a disposizione del contribuente o che il denaro sequestrato sia frutto di accrediti con causa lecita effettuati successivamente a tale momento”.
La pronuncia affronta un tema oggi pendente presso le Sezioni Unite. Si richiama in tema l’ordinanza della Sezione sesta n. 7021-21, con la quale è stato rimesso il seguente principio di diritto: “se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi finalizzato alla confisca diretta del prezzo del profitto derivante dal reato anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la prova della derivazione del denaro da un titolo lecito”.