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MAE, ne bis in idem e rifiuto dell’esecuzione quando il paese di condanna non è membro dell’UE: la sentenza della Corte di Giustizia.

Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sezione Quinta
Causa C-665/20, Sentenza 29 aprile 2021

Pubblichiamo il testo della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) del 29 aprile 2021, con cui la Quinta Sezione si è pronunciata sulla domanda pregiudiziale proposta dal Tribunale distrettuale di Amsterdam vertente sull’interpretazione dell’art. 4(5) della Decisione Quadro 2002/584/GAI del Consiglio, relativa al mandato d’arresto europeo (MAE) e alle procedure di consegna tra Stati membri.

Nel caso di specie, nel settembre 2019 l’autorità giudiziarie tedesca aveva emesso un MAE nei confronti di (X) accusato di aver commesso atti criminosi in famiglia. Nel marzo 2020 egli veniva arrestato nei Paesi Bassi, tuttavia si opponeva alla consegna alle autorità tedesche, affermando di essere stato precedentemente perseguito e giudicato in via definitiva per gli stessi fatti in Iran.

Più precisamente X affermava che, all’esito di tale procedimento penale svoltosi in Iran, egli era stato assolto in relazione ad alcuni dei capi d’accusa, mentre per i rimanenti era stato condannato ad a una pena detentiva che aveva scontato quasi per intero prima che gli fosse rimessa. Tale rimessione originava da una misura di clemenza generale concessa da un’autorità non giudiziaria, la Guida Suprema dell’Iran, in occasione del 40° anniversario della rivoluzione islamica.

Il soggetto invocava quindi il principio ne bis in idem, di cui all’articolo 4, paragrafo 5, della decisione quadro sul MAE, recepito nel diritto olandese, sui motivi di non esecuzione facoltativa, secondo cui:

L’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo:

5) se in base ad informazioni in possesso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da un paese terzo a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi del paese della condanna;

In primo luogo, la Corte di Giustizia, interrogata sul punto dal Tribunale olandese, ha stabilito che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve necessariamente disporre di un margine di discrezionalità nello stabilire se sia opportuno rifiutare l’esecuzione di un MAE per il motivo in questione, valutando caso per caso tutte le circostanze pertinenti in  un esame.

Se così non fosse, la facoltà prevista dall’art. 4(5) di rifiutare l’esecuzione di un MAE si tradurrebbe in  un vero e proprio obbligo, sebbene il rifiuto dell’esecuzione costituisca l’eccezione e l’esecuzione del MAE la regola generale.

Inoltre, la Corte ha sottolineato la differenza di tale disposizione rispetto al dettato dell’articolo 3(2) della decisione quadro, il quale prevede “motivi di non esecuzione obbligatoria” del MAE in caso di procedimenti penali già svolti in Stati membri (e non di Stati terzi). Tale disposizione non lascia alcun potere discrezionale all’autorità giudiziaria dell’esecuzione.

Invero, i rapporti tra gli Stati membri dell’UE sono regolati dai principi di fiducia e di reciproco riconoscimento, talché ciascuno Stato membro confida nel rispetto del diritto UE e nella protezione dei diritti fondamentali da parte degli altri Stati membri. Per contro, un così alto livello di fiducia nel sistema di giustizia penale non può presumersi per quanto riguarda gli Stati terzi. Per questo motivo, afferma la Corte, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve disporre di un margine di discrezionalità nel decidere se rifiutare l’esecuzione del MAE.

In secondo luogo, la Corte ha chiarito che la nozione di “stessi fatti”, di cui all’articolo 3 (2), e all’art. 4 (5), della decisione quadro, deve essere interpretata in modo uniforme. Per ragioni di coerenza e di certezza del diritto, queste due nozioni, formulate in termini identici, devono avere la stessa portata.

In terzo luogo, la Corte ha affermato la condizione relativa all’esecuzione della pena, prevista dall’art. 4 (5), della decisione quadro, è soddisfatta in una situazione come quella oggetto della causa principale. A questo proposito, la Corte ha sottolineato che tale articolo fa riferimento, in modo generale, alle “leggi del paese della condanna“, senza fornire ulteriori precisazioni quanto al motivo dell’impossibilità di esecuzione della pena. È quindi necessario, in generale, riconoscere tutte le misure di clemenza previste dall’ordinamento del paese di condanno, aventi l’effetto di impedire l’esecuzione della sanzione. Al riguardo elementi quali la gravità degli atti criminosi, la natura dell’autorità che ha concesso la misura, o le considerazioni su cui tale misura è radicata, quando, per esempio, essa non sia basata su considerazioni oggettive di politica criminale, non hanno alcuna incidenza.

Tuttavia, la Corte ha aggiunto che nell’esercizio del potere discrezionale di cui gode ai fini dell’applicazione del motivo di non esecuzione facoltativa previsto dall’art. 4, (5), l’autorità giudiziaria di esecuzione deve trovare un equilibrio. Invero, essa è chiamata a conciliare esigenze di prevenzione dell’impunità dei reati e di lotta alla criminalità, con le garanzie di certezza del diritto attraverso il rispetto delle decisioni delle pubbliche autorità passate in giudicato.