La Corte di Giustizia ancora sul ne bis in idem: libertà di circolazione e trattamento dei dati personali nell’ambito della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen (CAAS).
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione,
Sentenza 12 maggio 2021, Causa C-505/19
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), Grande Sezione, si è pronunciata sulla domanda pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo di Wiesbaden (Germania) vertente sull’interpretazione del principio del ne bis in idem quale ostativo all’arresto, nello spazio Schengen e nell’Unione europea, di una persona interessata da una segnalazione Interpol.
1. I fatti e l’oggetto del rinvio pregiudiziale.
Nel caso di specie, nel 2012 l’Organizzazione internazionale della polizia criminale (“Interpol”) aveva pubblicato, su richiesta degli Stati Uniti e sulla base di un mandato d’arresto emesso dalle autorità di tale paese, un “avviso rosso” a carico di WS, un cittadino tedesco, ai fini della sua eventuale estradizione.
Essendo destinatario di siffatto avviso, qualora WS fosse stato localizzato in uno Stato affiliato all’Interpol, tale Stato avrebbe dovuto, in linea di principio, procedere al suo arresto provvisorio oppure controllarne o limitarne gli spostamenti.
Tuttavia, ancor prima della pubblicazione dell’avviso rosso, era stata avviata in Germania un’indagine a carico di WS avente ad oggetto gli stessi fatti all’origine di tale avviso (quanto meno secondo il giudice del rinvio). Questo procedimento veniva definitivamente archiviato nel 2010, ad esito di una procedura di transazione specificatamente prevista dal diritto penale tedesco. Secondo il giudice del rinvio, l’azione penale per i fatti di cui al procedimento principale era quindi estinta in Germania.
Successivamente, l’Ufficio federale anticrimine tedesco informava l’Interpol che, a suo parere, a causa di tale precedente procedimento transattivo, il principio del ne bis in idem era applicabile al caso di specie.
Tale principio, sancito sia all’articolo 54 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen (CAAS) sia all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), mira ad evitare, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia previsto all’articolo 3, paragrafo 2, TUE, che una persona giudicata con sentenza definitiva in uno Stato membro o in uno Stato contraente, esercitando il suo diritto alla libera circolazione, sia sottoposta a procedimento penale per i medesimi fatti per i quali è stata definitivamente condannata in un altro Stato membro o in un altro Stato contraente.
Nel 2017 WS proponeva quindi ricorso contro la Repubblica federale di Germania dinanzi al Tribunale amministrativo di Wiesbaden affinché le fosse ordinato di adottare le misure necessarie per il ritiro del suddetto avviso rosso. A tale riguardo, WS deduceva, oltre a una violazione del principio del ne bis in idem, una violazione del suo diritto alla libera circolazione, garantito dall’articolo 21 TFUE. Invero, come menzionato sopra, egli non avrebbe potuto recarsi in uno Stato parte dell’accordo di Schengen o in uno Stato membro senza rischiare di essere arrestato. Riteneva altresì che il trattamento dei suoi dati personali contenuti nell’avviso rosso fosse contrario alla direttiva 2016/680, relativa alla protezione dei dati personali in materia penale.
Alla luce dei fatti esposti, il Tribunale amministrativo di Wiesbaden decideva di interrogare la Corte di Lussemburgo sull’applicazione del principio del ne bis in idem e, più precisamente, sulla possibilità di procedere all’arresto provvisorio di una persona oggetto di un avviso rosso in una situazione come quella de qua. Inoltre, in caso di applicabilità di tale principio, il giudice del rinvio chiedeva quali fossero le conseguenze rispetto al trattamento, da parte degli Stati membri, dei dati personali contenuti in un simile avviso.
2. La decisione della Corte.
Nella sentenza la Corte ha affermato preliminarmente che il principio del ne bis in idem può trovare applicazione in situazioni analoghe alla a fattispecie in esame, vale a dire in un contesto in cui sia stata adottata una decisione da un organo diverso da un giudice penale, purché basata su un esame nel merito, che archivia in modo definitivo un procedimento penale subordinatamente al rispetto di determinate condizioni, e nello specifico del pagamento di una somma di denaro fissata dal pubblico ministero.
Tanto premesso, la Corte ha dichiarato in primo luogo che l’articolo 54 della CAAS nonché l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, letti alla luce dell’articolo 50 della CDFUE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano all’arresto provvisorio, effettuato dalle autorità di uno Stato parte dell’accordo di Schengen o da quelle di uno Stato membro, di una persona interessata da un avviso rosso pubblicato dall’Interpol su richiesta di uno Stato terzo, a meno che non sia accertato, in una decisione giudiziaria definitiva adottata in uno Stato parte del suddetto accordo o in uno Stato membro, che tale persona è già stata giudicata in via definitiva rispettivamente da uno Stato parte del suddetto accordo o da uno Stato membro per gli stessi fatti su cui detto avviso rosso si basa.
Pertanto, gli Stati membri e gli Stati contraenti sono tenuti ad assicurare la disponibilità di mezzi di ricorso che consentano agli interessati di ottenere una decisione giudiziaria definitiva che accerti l’applicazione del principio del ne bis in idem.
In secondo luogo, la Corte ha precisato che la registrazione, nei sistemi di ricerca di uno Stato membro, dei dati personali contenuti in un avviso rosso dell’Interpol, effettuato dalle autorità di tale Stato sulla base del diritto nazionale, costituisce un trattamento di tali dati rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 2016/680.
I giudici della Grande Sezione hanno quindi affermato che le disposizioni della direttiva 2016/680, lette alla luce dell’articolo 54 della CAAS e dell’articolo 50 della Carta, devono essere interpretate nel senso che esse non ostano al trattamento dei dati personali contenuti in un avviso rosso emesso dall’Interpol, fintanto che non sia stato accertato, con una tale decisione giudiziaria, che con riferimento ai fatti su cui detto avviso si basa si applica il principio del ne bis in idem, purché un simile trattamento soddisfi le condizioni previste da tale direttiva. In questa ottica, esso deve essere necessario, in particolare, per l’esecuzione di un compito di un’autorità nazionale competente, a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali.
Quando, invece, il principio del ne bis in idem si applica, la registrazione, nei sistemi di ricerca degli Stati membri, dei dati personali contenuti in un avviso rosso dell’Interpol non è più necessaria, dato che la persona di cui trattasi non può più essere sottoposta a procedimento penale per i fatti oggetto di detto avviso né, di conseguenza, essere arrestata per questi stessi fatti. Ne consegue che la persona interessata deve poter chiedere la cancellazione dei suoi dati. Se, tuttavia, tale registrazione è mantenuta, essa deve essere accompagnata dall’indicazione che la persona non può più essere sottoposta a procedimento penale in uno Stato membro o in uno Stato contraente per i medesimi fatti, a causa del principio del ne bis in idem.