Non è ammissibile la confisca di valore per reati tributari commessi dal legale rappresentante su somme depositate presso i conti sociali, sui quali l’imputato aveva una delega in ragione del proprio incarico.
[a cura di Lorenzo Roccatagliata]
Cass. pen., Sez. III, Sent. 21 aprile 2021 (ud. 10 febbraio 2021), n. 15047
Presidente Lapalorcia, Relatore Noviello
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione terza, è tornata ad affrontare il tema della confisca “di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto” ai sensi dell’art. 12 bis, D. lgs. n. 74/2000.
Nel caso di specie, la confisca aveva colpito somme di denaro depositate su conti correnti della società, di cui l’imputato era legale rappresentante.
La Corte ha anzitutto colto l’occasione per rammentare i principi generali che governano la materia. Da un lato, deve ritenersi “legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona estranea al detto reato”; dall’altro lato, “in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può essere disposto sui beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni”.
Inoltre, “quest’ultimo principio deve ritenersi operante sia allorquando l’ente coinvolto nel sequestro benefici direttamente della commissione dei reati tributari di riferimento, essendo essi stati commessi dal corrispondente rappresentante legale, sia nel caso in cui esso non presenti alcuna correlazione con tali reati”.
Infine, la Corte ha ricordato “l’indirizzo giurisprudenziale che consente il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, della somma di denaro depositata su un conto corrente bancario intestato ad un soggetto estraneo al reato, sul rilievo della valorizzazione della delega ad operare senza limitazioni sull’intera provvista delle somme e dei valori depositati sul conto corrente stesso”.
In proposito, “rileva la disponibilità del bene intesa come relazione effettuale del condannato col bene, connotata dall’esercizio di poteri di fatto, corrispondenti al contenuto del diritto di proprietà, in forza dei quali egli può determinare autonomamente la destinazione, l’impiego e il godimento del bene stesso. La disponibilità coincide, cioè, con la signoria di fatto sulla res, indipendentemente e al di fuori delle categorie delineate dal diritto privato: e se ad una di tale categorie vuoi farsi proprio riferimento, il richiamo più appropriato risulta essere quello riferito al possesso nella definizione che ne dà l’art. 1140 cod. civ.”
In altri termini, “la nozione di ‘disponibilità’ coincide non con la nozione civilistica di ‘proprietà’ ma con quella del ‘possesso’: essa in tal modo ricomprende tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi (…), e si estrinseca in una relazione effettuale con il bene, connotata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà”. Sul punto, si veda la recente conforme Cass., Sez. III, 13833-21.
Così delineata la nozione di “disponibilità”, la Corte ha precisato che “tale ricostruzione di principio non appare compatibile con il caso in cui la delega sia (…) espressione esclusivamente di funzioni amministrative per conto terzi, cosicché non emerga alcuna riconducibilità, quand’anche parziale, dei beni, agli interessi economici, personali, del titolare della delega, al contrario del tutto irrilevanti, così da escludere ogni esercizio di poteri per conto proprio e corrispondenti dì fatto al diritto dì proprietà”.
Su questi presupposti, la Corte ha annullato l’ordinanza cautelare, poiché “tale allo stato appare il caso in esame, in cui la delega ad operare sul conto sembra corrispondere (…) alla titolarità delle delimitate funzioni gestorie ricoperte dal rappresentante legale della [società], come tali esercitate entro i limiti degli interessi esclusivi della stessa”.