ARTICOLIDIRITTO PENALEParte generale

Stato di ubriachezza e accertamento della colpevolezza: tra riduzione della capacità di intendere e volere e verifica del dolo in termini semplificati

[a cura di Guido Stampanoni Bassi]

Cassazione Penale, Sez. IV, 7 luglio 2021 (ud. 18 maggio 2021), n. 25758
Presidente Ciampi, Relatore Picardi

Segnaliamo ai lettori la sentenza con cui la quarta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sull’individuazione dei criteri cui attenersi nell’accertamento della colpevolezza nel caso di stato di ubriachezza dell’imputato, con particolare riferimento all’eventuale incidenza di tale stato sull’accertamento del dolo specifico richiesta dalla norma incriminatrice (rappresentata, nel caso di specie, dalla violenza o minaccia a un pubblico ufficiale ex art. 336 c.p.) e alla possibilità di una verifica del dolo «in termini semplificati».

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità – si legge nel provvedimento – «la colpevolezza di una persona in stato di ubriachezza deve essere valutata secondo i normali criteri d’individuazione dell’elemento psicologico del reato, poiché l’art. 92 cod. pen., nel disciplinarne l’imputabilità, nulla dice in ordine alla sua colpevolezza, che va, pertanto, apprezzata alla stregua delle regole dettate dagli artt. 42 e 43 cod. pen. (v., tra le tante, Sez. V, n. 45997, del 2/11/ 2016 ud. – 14/07/2016 dep., Rv. 268482 – 01, che ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva confermato la responsabilità a titolo di dolo eventuale, nonostante l’ubriachezza, dell’imputato che, dopo aver percorso per più chilometri un tratto di autostrada contromano, si era reso responsabile di omicidio plurimo e lesioni, valorizzando elementi quali il comportamento poco prima tenuto all’uscita da un locale, la corretta condotta di guida nella prima parte del percorso autostradale, il comportamento tenuto durante un diverbio occorso nella serata ed il fatto che, nell’immediatezza dell’incidente, l’imputato non era apparso affatto in stato confusionale agli automobilisti ed agenti intervenuti)»

Da tali premesse deriva «che l’elemento soggettivo deve essere verificato – contrariamente alla impostazione difensiva, che aderisce ad una ricostruzione ormai superata, proposta da una parte della dottrina – con riferimento al momento della commissione del fatto e non con riferimento a quello della procurata ubriachezza, posto che gli artt. 91, 92, 94 e 95 cod. pen. si limitano a disciplinare i limiti della compatibilità dell’ubriachezza con l’imputabilità, senza, tuttavia, introdurre alcuna deroga rispetto alla regola generale di cui all’art. 42 cod. pen., che esige la sussistenza del dolo o della colpa al momento della commissione del fatto e non in un lasso temporale anteriore».

Tale conclusione – si legge nella pronuncia – «è confermata dall’art. 91, secondo comma, cod. pen., che, nel configurare l’ubriachezza, se preordinata al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa, come una mera circostanza aggravante, esclude che la rappresentazione e volizione della commissione del reato debba necessariamente sussistere all’epoca dell’ingerenza della bevanda alcolica. Tale disciplina, sebbene abbia suscitato le perplessità della dottrina, che si interroga sulla effettiva possibilità di configurare il dolo o la colpa in capo a chi agisce in preda all’alcool e che evidenzia il pericolo di una responsabilità penale di tipo oggettivo, è stata ritenuta costituzionalmente legittima dalla Consulta nella sentenza n. 33 del 1970. Ad avviso della Corte costituzionale, la differenza normativa tra ubriachezza derivata o ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore è giustificata dall’intenzione del legislatore di reprimere l’ubriachezza come male sociale, visto che, nella seconda ipotesi, l’ubriaco, che ha commesso un reato, si è posto volontariamente o colposamente in condizione di commetterlo e deve, dunque, rispondere di una condotta anti-doverosa. Si è, pertanto, esclusa l’irragionevolezza ed il conseguente contrasto con l’art. 3 Cost. dell’art. 92 cod. pen. in relazione al fine perseguito dal legislatore. Parimenti si è negata la violazione dell’art. 27 Cost., sia perché chi si ubriaca (per sua volontà o per sua colpa) e commette un reato, risponde del proprio comportamento, sia perché la pena irrogata, oltre a non differire da quella a cui soggiace ogni autore di reato, non può ritenersi non emendativa, essendo diretta ad attivare, nel condannato, una controspinta all’abuso dell’alcool (ubriachezza volontaria) o a provocare un energico richiamo alla temperanza e alla moderazione (ubriachezza colposa)».

In ordine al problema contenutistico dell’elemento soggettivo del reato commesso dall’ubriaco – prosegue la Corte – «deve, dunque, aderirsi all’impostazione intermedia, già seguita dalla giurisprudenza di legittimità, che, proprio in considerazione dell’effettiva riduzione della capacità di intendere e volere procurata dall’ubriachezza, ammette una verifica del dolo in termini semplificati».

Nel ribadire tale principio, la Corte ha rinviato a Cass. Pen., Sez. 6, n. 31749 del 09/06/2015 secondo cui, «per ritenere sussistente il dolo diretto in capo a persona ubriaca, non è richiesto che sia stata effettuata un’analisi lucida della realtà, essendo necessario soltanto che il soggetto sia stato in grado di attivarsi in modo razionalmente concatenato per realizzare l’evento ideato e voluto. Tale conclusione è, del resto, l’unica compatibile con l’art. 92 cod. pen., che impone che il giudice indaghi e valuti l’ideazione e la volizione dell’ubriaco, nonostante la perturbazione psichica e la riduzione del senso critico determinate dall’alcool».

In conclusione, «il dolo specifico non può ritenersi incompatibile con lo stato di ubriachezza, che ne consente, al contrario, una verifica semplificata», con la conseguenza che, nella fattispecie di cui all’art. 336 cod. pen., «occorrerà accertare che l’ubriaco, sebbene non lucidamente, abbia volontariamente orientato la sua condotta verso la specifica finalità di costringere il pubblico ufficiale a compiere l’atto contrario ai propri doveri o ad omettere l’atto dell’ufficio».

Redazione Giurisprudenza Penale

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