Fungibilità della custodia cautelare sofferta “sine titulo”: la Cassazione conferma la ragionevolezza della esclusione per i periodi scontati prima della consumazione del reato
[a cura di Guido Stampanoni Bassi]
Cassazione Penale, Sez. I, 13 ottobre 2021 (ud. 17 settembre 2021), n. 37327
Presidente Zaza, Relatore Aliffi
In tema di computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo (art. 657 c.p.p.), segnaliamo ai lettori la sentenza con cui la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi – escludendola e ravvisando di non dover neanche sollevare questione di legittimità costituzione – sull’ipotesi di scomputo del periodo di custodia cautelare scontato in epoca precedente rispetto alla consumazione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire.
Ricordiamo, infatti, che il meccanismo di “compensazione” delineato dall’art. 657 c.p.p. incontra un espresso limite di ordine temporale delineato dal quarto comma della medesima disposizione, in forza del quale la fungibilità opera soltanto per la custodia cautelare subita o le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire (ai sensi dell’art. 657 c. 4 c.p.p., “in ogni caso sono computate soltanto la custodia cautelare subita o le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire”).
La ricorrente, come accennato, aveva chiesto alla Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 657 c. 4 c.p.p. nella parte in cui limita l’applicazione della fungibilità della detenzione sofferta senza titolo alla sua anteriorità rispetto al reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire, trattandosi di scelta legislativa che, «facendo dipendere l’operatività della fungibilità da un fattore meramente casuale di natura temporale, oltre a vulnerare la parità di trattamento di cui all’art. 3 della Costituzione ed il principio del favor libertatis, si pone in contrasto con la finalità rieducativa della pena prevista dall’art. 27, comma 3, Costi. e con il divieto di ricorrere a presunzioni assolute nell’applicazione di disposizioni normative che incidono sulla libertà personale».
La Cassazione ha ritenuto di non dover sollevare questione di legittimità costituzionale, essendo la stessa tematica già stata oggetto di due diverse pronunce della Consulta: la sentenza n. 198 del 27 luglio 2014 e l’ordinanza n. 117 del 12 aprile 2017.
Con la prima decisione, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 657 c. 4 c.p.p. con riguardo all’argomento, ripreso dal ricorrente, secondo il quale, «a parità di situazioni, la possibilità di “compensare” la pena da espiare con l’ingiusta carcerazione già subita verrebbe fatta dipendere da un fattore meramente casuale di natura temporale, ossia la circostanza che l’ingiusta carcerazione segua, e non già preceda, la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire».
Ebbene, in tale occasione, il giudice delle leggi ha osservato come la previsione normativa censurata trovi, in realtà, giustificazione sotto due distinti profili. Da un lato, «è imposta dall’esigenza di evitare che l’istituto della fungibilità si risolva in uno stimolo a commettere reati, trasformando il pregresso periodo di carcerazione in una “riserva di impunità” utilizzabile per elidere le conseguenze di futuri illeciti penali, mentre persegue lo scopo di porre rimedio a disfunzioni del sistema giudiziario e di compensare chi ne abbia patito le conseguenze in termini di privazione della libertà personale, poi rimasta priva di valido titolo». Dall’altro, «la pena in ogni caso, seppur scontata mediante l’imputazione ad essa del periodo di ingiusta detenzione sofferta per altro reato, per assolvere alle funzioni preventive e di recupero del reo che le sono attribuite dall’ ordinamento, deve sempre seguire, e non precedere, il fatto criminoso cui accede e che mira a sanzionare».
Non vi è, dunque, alcun conflitto né con il principio di eguaglianza, dal momento che «la situazione di chi ha sofferto la custodia cautelare, o espiato una pena senza titolo, dopo la commissione di altro reato non corrisponde a quella di chi l’ha subita o eseguita anteriormente», né con l’art. 13 Cost. perché «sacrifica la libertà individuale a ragione dell’esigenza di non incentivare la commissione di ulteriori fatti criminosi, contando su una sostanziale impunità, e di non stravolgere le funzioni di prevenzione e di emenda della pena», né, infine, con l’art. 27 Cost. «per l’impossibilità di concepire una funzione rieducativa in relazione a reati che debbano essere ancora commessi».
Con la seconda decisione, la Corte Costituzionale, nel richiamare i principi già espressi con la sentenza n. 198/2014, ha affermato che l’art. 657 cod. proc. pen. «non contiene, in alcun modo, regole irragionevolmente discriminatorie e ha ribadito la piena coerenza con i parametri costituzionali dell’orientamento esegetico che nega la compensazione tra pena da espiare e periodo di detenzione ingiusta già sofferto, anche se questo derivi dall’unificazione per continuazione dei reati separatamente giudicati, nel senso che soltanto «ove il giudice dell’ esecuzione verifichi (nel rispetto degli accertamenti già svolti in sede cognitiva) che il reato associativo, con pena da espiare, è stato commesso in epoca anteriore alla carcerazione sine titulo patita per i reati-fine dell’associazione, egli deve scomputare senz’ altro quest’ultima dalla pena relativa al primo reato, quale che sia la data del suo accertamento», escludendo tale beneficio nel caso opposto».
In conclusione – si legge nella decisione – «la ratio dell’istituto fondata sull’esigenza di evitare, sempre e comunque, la precostituzione di riserve di impunità a favore di chi sia stato cautelarmene detenuto per altro fatto al punto da non ammettere neppure distinguo a seconda che la sentenza assolutoria per il diverso fatto per cui il condannato ha subito custodia cautelare sia divenuta definitiva prima o dopo la commissione del nuovo reato».