17 luglio 1998: una data da non dimenticare per l’Italia e la giustizia penale internazionale. Il 24° Anniversario dello Statuto della Corte penale internazionale.
in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 7-8 – ISSN 2499-846X
Ci sono tanti modi per confrontarsi con un anniversario: uno è anche quello di lasciarlo passare inosservato, perché forse ci richiama ad impegni che erano stati assunti e probabilmente andavano meglio onorati. Potrebbe essere anche questo l’atteggiamento per quello in previsione il 17 luglio prossimo. Almeno fino ad oggi, l’ Italia, a giudicare dalle pagine dei siti istituzionali, sembra non stia ricordando un anniversario che pure la vide come protagonista attiva e come luogo fondativo.
Eppure non era stato un percorso facile quello compiuto quel 17 luglio del 1998 al Palazzo della Fao a Roma, quando fu approvato lo Statuto della Corte penale internazionale. Da tempo il dibattito della comunità internazionale aveva messo in luce gli aspetti critici sorti attorno all’istituzione e all’operato dei Tribunali per la ex Jugoslavia e per il Ruanda, tribunali ad hoc certo legittimati dalla cornice giuridica delle Nazioni Unite, ma che rappresentavano ancora una soluzione temporanea e con tanti interrogativi, perché dopo tutto non potevano basarsi su un sistema normativo e giurisdizionale universalmente riconosciuto, che fosse precostituito in modo permanente e sulla base del principio nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali.
Un passo avanti fu compiuto con i lavori della International Law Commission, che, seppure con qualche lentezza, portarono all’idea di un Trattato per una Corte penale permanente, perfezionando la proposta in un testo presentato nel 1994. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sollecitò ulteriori approfondimenti da parte di un Comitato Speciale e, successivamente, di un Comitato Preparatorio per l’istituzione di una Corte Penale Internazionale. Nel luglio del 1996, l’International Law Commission completò la seconda lettura del Progetto di Codice di Crimini contro la Pace e la Sicurezza del Genere Umano trasmettendolo all’Assemblea Generale; questa rinnovò il mandato del Comitato Preparatorio per gli anni 1997 e 1998, conferendogli anche il compito di redigere un testo consolidato da presentare ad una Conferenza Diplomatica (Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 51/207 del 17.12.1996). L’anno successivo, il 15 dicembre 1997, con la Risoluzione 52/160 l’Assemblea Generale ufficializzò la convocazione a Roma, dal 15 giugno al 17 luglio 1998, di una Conferenza Diplomatica di Plenipotenziari per l’Istituzione della Corte Penale Internazionale e dispose la trasmissione del Draft Statute, ancora in corso di elaborazione innanzi al Comitato Preparatorio, direttamente alla Conferenza Diplomatica. Due mesi prima dell’inizio della Conferenza, nell’aprile 1998, il Comitato Preparatorio trasmise alla Conferenza Diplomatica il Report sull’attività svolta, con allegati il Draft Statute for the International Criminal Court e il Draft Final Act of The Diplomatic Conference.
Il 15 giugno 1998 il Palazzo della FAO di Roma vide l’apertura della Conferenza con il discorso inaugurale del Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e l’intervento del Presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro. Nella stessa giornata si svolsero i rituali adempimenti organizzativi: adozione del Regolamento, nomina delle funzioni di vertice e costituzione dei vari comitati, il General Comittee, il Drafting Comittee, il Credentials Comittee ed il Comittee of Whole. Alle funzioni di Presidente della Conferenza venne chiamato l’italiano Giovanni Conso, mentre l’Ambasciatore Philippe Kirsh e il Prof. Cherif Bassiouni ebbero rispettivamente gli altri importanti incarichi di Presidente del Comitato Plenario e del Comitato di Redazione. I lavori proseguirono sostanzialmente secondo le procedure tipiche delle conferenze diplomatiche: il Comitato Plenario – costituito dai delegati di ogni Stato – esaminò i vari punti del draft statut elaborato dal comitato preparatorio, e dopo avere ottenuto su di essi il necessario consenso, li trasmise al Comitato di Redazione; questo li tradusse in forma giuridica, nelle sei lingue ufficiali (inglese, francese, russo, arabo, spagnolo e cinese) inviandoli nuovamente all’approvazione del Comitato Plenario per il successivo invio all’Assemblea Plenaria, competente all’adozione finale del documento.
Serie difficoltà si ebbero però nell’esame della Part 2 (Jurisdiction, Admissibility and Applicable Law), com’ era d’altro canto comprensibile trattandosi del nucleo centrale dello Statuto, ove erano individuate le nozioni dei crimini perseguibili e le regole generali di giurisdizione della Corte. I negoziati su tale punto si rilevarono molto critici fino a giungere ad una situazione di stallo che fece persino temere per l’esito conclusivo della Conferenza. Solo con un atto d’imperio della Presidenza del Comitato Plenario si giunse a produrre un testo blindato, e fortunatamente la maggioranza dei delegati respinse le ulteriori proposte di emendamenti presentate da India e Stati Uniti. In tal modo, il progetto definitivo dello Statuto fu trasmesso in tempo utile all’Assemblea Plenaria per i lavori conclusivi sull’adozione finale. In ogni caso, il clima generale che si percepiva in quel momento era di forte tensione e incertezza; peraltro, per espressa mozione presentata dagli Stati Uniti, non fu possibile adottare la procedura del consensus, che consiste nella prassi, piuttosto rituale nelle organizzazioni internazionali, di evitare la votazione formale con una dichiarazione non contestata del Presidente dell’organo. Sarebbe stato necessario, pertanto, procedere al voto finale.
Alle 22.50 del 17 luglio 1998, appena un’ora prima del termine previsto dei lavori della Conferenza, un lungo e fragoroso applauso annunciò l’esito favorevole della votazione; il Presidente Conso proclamò dunque l’adozione dello Statuto a maggioranza. Erano stati raggiunti 120 voti a favore, superando la stessa maggioranza qualificata richiesta – pari a due terzi dei 148 Stati votanti (su 160 partecipanti alla Conferenza) – mentre 21 Stati si erano astenuti e 7 avevano espresso il voto contrario: Stati Uniti, Cina, India, Israele, Turchia, Filippine e Sri Lanka. Anche la Russia aveva approvato lo Statuto. Il 18 luglio, Kofi Annan diede avvio all’apertura alla firma dello Statuto di Roma: «L’istituzione della Corte è un dono di speranza alle generazioni future, e un enorme passo avanti nel cammino verso l’universale rispetto dei diritti umani e della legge». La Corte Penale Internazionale era divenuta una realtà.
È necessario dunque ricordare almeno questi passaggi per comprendere il valore dello Statuto della Corte Penale Internazionale. Ricordato come lo “Statuto di Roma”, da allora rappresenta la base giuridica più compiuta e attuale che definisce i crimini di genocidio (art.6), i crimini contro l’umanità (art.7), e i crimini di guerra (art. 8). Dopo la Conferenza di revisione di Kampala del 2010, la competenza della Corte è stata estesa al crimine di aggressione (art. 8-bis), ovvero l’attacco ingiustificato alla sovranità di uno Stato, quando è compiuto in difformità alle previsioni della Carta delle Nazioni Unite. Con lo Statuto si è data forma all’idea di istituire un tribunale penale internazionale permanente e dall’efficacia universale, chiamato ad intervenire secondo il principio di complementarietà, per cui la Corte giudica solo qualora gli Stati “non vogliano o non possano” esercitare la giurisdizione, per unwillingness, il ‘difetto di volontà’ o per inability, l’ ‘incapacità dello Stato’. Tra i principi fondamentali affermati vi è anche quello di non riconoscere eccezioni alla punibilità previste in altri casi: i crimini sono imprescrittibili, non sono riconosciute immunità funzionali o personali, né in generale può operare l’esimente dell’ordine superiore. Non solo, lo Statuto prevede anche che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite possa consentire l’intervento della Corte pure nei territori e nei confronti di quegli Stati che non hanno ratificato lo Statuto. Si tratta di una previsione teorica per i casi attuali, considerati i poteri di veto di Russia e Cina, ma c’è chi vede in questa opzione una possibile evoluzione, che per esempio potrebbe prevedere – beninteso con una riforma dello Statuto – una estensione di tale potere anche ad una Risoluzione della più rappresentativa Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ovvero con decisione della Corte internazionale della Giustizia (l’altro organismo giurisdizionale che però giudica sulla responsabilità di diritto internazionale degli Stati, non di natura penale), o anche con una decisione preliminare adottata all’unanimità degli organi giudicanti collegiali della stessa Corte penale internazionale.
In ogni caso, quattro anni dopo l’ approvazione di Roma, il 1° luglio 2002 – quindi venti anni orsono, appena ricordati all’Aja da una Conferenza ad Alto Livello – furono raggiunte le ratifiche degli Stati necessarie per l’entrata in vigore internazionale, e da allora la Corte penale internazionale è entrata in attività, non senza difficoltà.
Gli osservatori più critici evidenziano che, nonostante siano state raggiunte ben 123 ratifiche degli Stati che hanno aderito al sistema della Corte, mancano alla ratifica Paesi come Stati Uniti e Israele, oltre che la Russia e la Cina. Questioni controverse e forti attriti con i giudici della Corte sono pure intervenuti da parte statunitense e israeliana quando si è trattato di avviare indagini su ipotesi di crimini di guerra perpetrati nei teatri iracheno e afghano, e per il conflitto israelo-palestinese. Altre criticità sono sorte per le crisi del Darfur e della Siria, mentre in generale diversi Stati africani hanno ritirato le ratifiche o comunque criticato la scelta della Corte di intervenire prevalentemente nei loro scenari di crisi, trascurando invece gli altri, dove in qualche misura si dovevano tutelare interessi occidentali. Anche il dato numerico dei processi e delle condanne non è in incoraggiante: si parla di 31 casi esaminati, con 41 mandati di arresto emessi, di cui almeno la metà non eseguiti, e di processi conclusi con solo 10 condanne e 4 assoluzioni. Ma a questi argomenti dei detrattori della Corte, che ne hanno criticato anche l’eccessivo budget, viene eccepito che è proprio nel continente africano che si sono visti compiuti i crimini contro l’umanità più efferati nei vari conflitti interetnici, a cominciare dal coinvolgimento nelle guerre dei “bambini soldato”. Inoltre, in generale una inchiesta penale internazionale richiede anni di accertamenti e verifiche, specie per la raccolta delle prove, ed è fondamentale comunque la cooperazione degli Stati. La Corte non può funzionare se non c’è piena e convinta adesione e collaborazione degli Stati, e delle organizzazioni regionali, come ad esempio la Nato, specie per la cattura dei latitanti, presupposto necessario perché la giurisdizione della Corte non prevede la celebrazione di processi “in contumacia”.
Ma veniamo al presente. Oggi la guerra in Ucraina ha radicalmente mutato gli scenari: gli eccidi sulla popolazione civile con i bombardamenti indiscriminati vietati dal diritto dei conflitti armati, la stessa guerra di “aggressione” compiuta in violazione dei principi della Carta delle Nazioni Unite – condannata da almeno Risoluzioni dell’Assemblea Generale e da una pronuncia della Corte di Giustizia – e le immagini delle fosse comuni e delle esecuzioni di civili inermi di Bucha, e delle altre città ucraine, hanno fatto evocare i crimini giudicati davanti ai Tribunali di Norimberga e dell’ex Jugoslavia. Da qui l’appello allo strumento di giustizia che ne ha raccolto l’eredità, la Corte penale internazionale dell’Aja, un baluardo che per molti attori della comunità internazionale oggi può ancora rappresentare un ideale e una speranza concreta contro la nuova “banalità del male”.
L’Ucraina a su tempo ha accettato la giurisdizione della Corte per i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il genocidio (non l’ha riconosciuta per l’aggressione, ma potrebbe presto estenderla), e un gruppo di oltre 40 Stati, con in testa la Lituania, cui si sono aggiunti per primi l’Italia e tutta l’Unione Europea, ha promosso il referall ex articolo 14, la richiesta di indagini per i crimini in Ucraina che ha legittimato il Procuratore Karim Khan ad attivarsi tempestivamente, senza attendere l’autorizzazione della Pre Trial Chamber. Il ruolo della Corte e dei suoi team investigativi, prontamente inviati sul teatro del conflitto, è stato determinante nel sostenere l’importante fase della raccolta delle prove e in generale l’azione dell’autorità giudiziaria ucraina. Si parla di oltre 20.000 crimini internazionali documentati, e le intese di collaborazione probabilmente porteranno quelli più complessi e per i quali le autorità ucraine non potranno procedere (ad esempio, per i capi politici e militari non catturati) nella competenza dei giudici dell’Aja. Secondo diverse fonti autorevoli, fra cui l’ex procuratrice del Tribunale per la ex Jugoslavia Carla Del Ponte, a breve potrebbero maturare i tempi per l’emissione di alcuni mandati d’arresto nei confronti dei responsabili militari russi. E non è un caso che il 30 giugno scorso la Corte abbia reso nota l’emissione dei primi tre mandati d’arresto per crimini commessi da due alti funzionari russi e da uno georgiano nel corso del conflitto contro la Georgia del 2008. Qualcuno eccepisce che sarà difficile provvedere alla esecuzione dei mandati d’arresto, ma la Storia insegna che le situazioni possono evolvere, e in ogni caso i criminali di guerra incriminati non potranno muoversi dal loro paese, e saranno sub iudice per tutto il resto della loro vita, perché i crimini di competenza della Corte non sono soggetti a prescrizione.
Quanto all’ Italia, oltre alla sottoscrizione del referall, sta collaborando alle indagini con supporti tecnici ai team investigativi e alla raccolta delle testimonianze degli esuli, sulla base anche delle direttive di Eurojust, l’autorità di coordinamento delle magistrature europee. L’Italia sta assolvendo anche ad un altro impegno, che sarà decisivo: in questi giorni il Ministero della Giustizia sta esaminando il progetto di Codice dei Crimini Internazionali, elaborato da una Commissione di esperti designata proprio per definire gli ultimi passaggi per l’attuazione nell’ordinamento interno dello Statuto della Corte penale internazionale. Ci sono ancora alcuni aspetti interpretativi e questioni aperte da chiarire, come ad esempio una definizione compatibile con l’ordinamento nazionale ed europeo del crimine di aggressione, che non sia vincolato ad una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, ovvero anche una incriminazione più sicura a titolo di dolo per gli “effetti collaterali” che comportino comunque stragi di civili, e poi anche il problema del riparto di giurisdizione tra magistratura ordinaria e militare. L’importante ora è che Governo e Parlamento accelerino i tempi per sciogliere le ultime riserve per varare una legge ad hoc. Tuttavia, per la comunità dei giuristi ci sarebbe anche un altro impegno da assumere, se davvero si vuole onorare un anniversario. L’Italia, che molti evocano come “culla del diritto” per avere originato il diritto romano e lo ius gentium, e ora anche come luogo fondativo dello Statuto di Roma, potrebbe farsi promotrice insieme agli altri Stati dell’Unione Europea di una nuova Conferenza Diplomatica della Corte penale internazionale con due obiettivi. Il primo, probabilmente più difficile da realizzare subito, ma certamente da perseguire nel tempo, potrebbe riguardare una riforma dello Statuto che possa eliminare i caveat del Consiglio di Sicurezza (sulla procedibilità dell’aggressione e sui territori degli Stati non parte) o possa prevedere la prosecuzione dei processi anche in contumacia, quando gli imputati volontariamente si sottraggono ad essi. L’altro obiettivo, più concretamente realizzabile a breve, potrebbe essere invece rivolto a convocare una Conferenza per la “riapertura alla firma” dello Statuto, affinché questo sia riconosciuto e ratificato da una maggioranza di Stati ancora più estesa, coinvolgendo da subito le principali democrazie del mondo. Sarebbe anche questo un modo per dare un senso compiuto agli impegni assunti quel 17 luglio 1998, quando si volle sostenere lo “Statuto di Roma”.
Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Delli Santi, 17 luglio 1998: una data da non dimenticare per l’Italia e la giustizia penale internazionale. Il 24° Anniversario dello Statuto della Corte penale internazionale, in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 7-8