ARTICOLIDIRITTO PROCESSUALE PENALEIndagini e processo

La autodifesa nel processo penale non è consentita neanche al soggetto abilitato all’esercizio della professione forense

Cassazione Penale, Sez. II, 2 ottobre 2013 (ud. 16 luglio 2013), n. 40715
Presidente Petti, Relatore Diotallevi

Depositata il 2 ottobre 2013 la pronuncia numero 40715 della seconda sezione penale della Suprema Corte in tema di autodifesa nel processo penale da parte di soggetto abilitato all’esercizio della professione forense innanzi alle magistrature superiori.

Ad avviso dei giudici di Piazza Cavour, in particolare, anche a seguito dell’entrata in vigore della l. 31 dicembre 2012, n. 247 (recante “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”) in sede penale l’autodifesa non può ritenersi consentita in difetto di una previsione di legge ad hoc (nel caso di specie, l’imputato era un soggetto abilitato all’esercizio della professione forense innanzi alle magistrature superiori).

In motivazione la Corte, nell’evidenziare come debba ritenersi infondata la tesi secondo cui il ricorrente sarebbe legittimato a difendersi da solo in virtù della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, prende le mosse richiamando quei precedenti giurisprudenziali in base ai quali “la normativa interna che esclude la difesa personale della parte nel processo penale non si pone in contrasto con l’art. 6 paragrafo terzo lett. c) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – che prevede la possibilità di autodifesa – in quanto il diritto all’autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia” (Cass. pen. Sez. I Sent., 29-01-2008, n. 7786, rv. 239237); conclusioni, per altro, ribadite anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 188 del 1980 secondo la quale “alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, il cui art. 6, n. 3, lett. c) prevede la possibilità di autodifesa esclusiva, non può attribuirsi il significato proposto dal ricorrente, rilevando che “la Commissione stessa ha avuto occasione di affermare che il diritto all’autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali (ric. 722/60)” e che nei giudizi dinanzi ai Tribunali Superiori “nulla si oppone ad una diversa disciplina purchè emanata allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia (ric. 727/60 e 722/60)”.

Quanto, poi, alla legge n. 247 del 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) i giudici osservano come si tratti di norma a carattere generale, che va necessariamente coordinata con le prescrizioni specifiche di ogni ramo dell’ordinamento e delle relative previsioni procedurali: la attività forense – si precisa – è attività diretta alla difesa dei diritti e, come tale, è componente indefettibile dello Stato di diritto, presidio dei diritti dei cittadini e garanzia della loro tutela; strumento di accesso alla giustizia da parte di tutti attraverso la previsione del difensore d’ufficio e del gratuito patrocinio (vedi punti 7 e 8 della motivazione).

In conclusione, pertanto, anche a seguito dell’entrata in vigore della l. 31 dicembre 2012, n. 247, non è consentita la autodifesa nel processo penale neppure qualora l’imputato sia un soggetto abilitato all’esercizio della professione forense innanzi alle magistrature superiori.

  • [wpdm_package id=38]

Redazione Giurisprudenza Penale

Per qualsiasi informazione: redazione@giurisprudenzapenale.com