Omicidio di Niccolò Ciatti: la sentenza con cui la Corte di Assise di Roma ha condannato Bissoultanov a 23 anni di reclusione
Corte di Assise di Roma, 17 febbraio 2023 (ud. 7 febbraio 2023), sentenza n. 2/2023
Presidente dott.ssa Antonella Capri, Giudice a latere dott. Renato Orfanelli
Segnaliamo ai lettori, in considerazione dell’interesse mediatico della vicenda – relativa al procedimento per la morte di Niccolò Ciatti, avvenuta nel 2017 in Spagna (fatto accaduto in Lloret de Mar il 12.08.17 e decesso avvenuto presso l’ospedale di Girona il 13/08/2017) – la sentenza con cui la Corte di Assise di Roma ha condannato l’imputato Rassoul Bissoultanov a 23 anni di reclusione.
Riservandoci un commento più approfondito nelle prossime settimane, segnaliamo sin da ora come argomenti di interesse – tra gli altri – quelli relativi alle seguenti circostanze:
– affermazione della giurisdizione italiana;
– esclusione di un bis in idem europeo;
– sussistenza delle circostanze aggravanti dei futili motivi e della crudeltà (queste ultime entrambe escluse).
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Quanto al primo tema, la Corte di Assise ha preliminarmente affermato “la giurisdizione dello Stato Italiano a conoscere della responsabilità penale dell’imputato per il fatto enunciato nel decreto di giudizio immediato e l’autonomia del presente processo dall’incidentale procedimento cautelare in cui la Corte, quale giudice della cautela, aveva disposto la revoca della misura cautelare adottata in fase di indagine preliminare per difetto della prescritta condizione di procedibilità ex art. 10, comma 1, cod. pen. della presenza del reo nel territorio dello Stato all’atto dell’assunzione della misura cautelare, provvedimento annullato a seguito di accoglimento del ricorso per cassazione del p.m. con conseguente ripristino di efficacia della misura originariamente adottata (mai eseguita poiché l’imputatosi è reso irreperibile successivamente alla scarcerazione)“. Ciò chiarito, secondo la Corte è “irrilevante, tanto ai fini della procedibilità dell’azione quanto ai fini del radicamento della giurisdizione italiana, il fatto che l’imputato si sia allontanato dal territorio dello Stato a seguito della scarcerazione, essendo assolutamente pacifico nella giurisprudenza di legittimità che a radicare la giurisdizione basti una presenza anche solo transitoria“.
In ogni caso – prosegue la Corte di Assise – “il Ministro della Giustizia ha emesso formale provvedimento di richiesta di esercizio dell’azione penale ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 10 cod. pen. e 342 cod. proc. pen. per un delitto, l’omicidio aggravato, commesso all’estero in danno di un cittadino italiano, punito con la pena dell’ergastolo“. Ne deriva – si legge nella sentenza – che “risultano integrati i presupposti e l’ulteriore condizione di procedibilità, destinata a rimuovere un ostacolo giuridico all’esercizio della giurisdizione dello Stato in applicazione di un principio di universalità temperata dell’ordinamento processual-penalistico italiano e per tale ragione la Corte ha ritenuto di dover prendere cognizione del fatto di reato attribuito all’imputato“.
Quanto al secondo aspetto (esclusione di un bis in idem europeo), la Corte ha ricordato come la sentenza di condanna emessa in Spagna nei confronti dell’imptuato – con la quale lo stesso è stato condannato alla pena di anni 15 di reclusione – “impugnata dall’imputato, è stata confermata dalla Corte di Appello spagnola, ma, allo stato, non risulta avere acquistato autorità di cosa giudicata e, pertanto, non è ravvisabile una causa di improcedibilità per violazione del principio del bis in idem“.
Rispetto al fatto attribuito all’imputato (l’omicidio volontario del cittadino italiano Niccolò Ciatti) – si legge nella decisione – “pendono, allo stato, due processi penali paralleli (uno in Spagna e uno in Italia), nessuno dei quali concluso con sentenza definitiva. La fattispecie concreta è pertanto qualificabile in termini di simultaneus processus ed è diversa dall’ipotesi regolata dall’art. 11, co. 2 c.p., che impone allo Stato, ricorrendone le condizioni di cui all’art. 10 c.p., di celebrare un iudicium novum nei confronti di un soggetto che sia stato giudicato all’estero all’esito di un processo già definito. Ne consegue l’insussistenza dell’adombrata questione di incostituzionalità rispetto ad una norma codicistica che, nel caso concreto, non trova applicazione“.
Da ultimo, nella sentenza ci si sofferma, tra gli altri temi, anche sulle due circostanze aggravanti dei futili motivi e della crudeltà.
La prima – da intendersi nel senso che “può ritenersi futile il motivo quando la spinta al reato manca di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento accettabile, sul piano logico, con l’azione commessa, tanto che la determinazione criminosa viene causata da uno stimolo talmente lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato effettivamente commesso, da apparire alla generalità dei consociati del tutto insufficiente a causare l’azione delittuosa” – deve essere esclusa poiché nel caso concreto il movente dell’azione delittuosa non è stato accertato con ragionevole grado di certezza. D’altronde – si precisa – “ritenere che esso sia individuabile in un banale alterco insorto fra i due giovani nel momento in cui la vittima attraversa la pista per raggiungere la scala per i piani superiori, magari favorita dall’affollamento di persone e dal frastuono del luogo, costituisce una ricostruzione apodittica che non è ricavabile in via logica dalla mera circostanza che i due non si erano mai incontrati, in assenza di altri concreti elementi di prova“.
La seconda – che sussiste “qualora dalla condotta emerga la volontà di infliggere alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell’evento e costituiscono un quid pluris rispetto all’attività necessaria ai fini della consumazione del reato” – deve essere anch’essa esclusa, dal momento che “colpire la vittima con un calcio di notevole forza e violenza in una zona particolarmente sensibile del corpo umano come il capo non costituisce azione eccedente dai limiti della normalità causale rispetto all’evento omicidiario preveduto e voluto e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, sintomatico di particolare riprovevolezza dell’animo dell’agente“.