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Omicidio di Willy Monteiro Duarte: le motivazioni della sentenza della Corte di Assise di Appello di Roma

[a cura di Guido Stampanoni Bassi]

Corte di Assise di Appello di Roma, Sez. I, 4 ottobre 2023 (ud. 12 luglio 2023), n. 25
Presidente dott. Capozza, Relatore dott.ssa Tiziana

Segnaliamo ai lettori, in considerazione dell’interesse mediatico della vicenda (relativa al processo per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, avvenuto a Colleferro il 6 settembre 2020), la sentenza con cui la Corte di Assise di Appello di Roma ha condannato Marco e Gabriele Bianchi alla pena di 24 anni di reclusione – in luogo dell’ergastolo a cui erano stati condannati in primo grado – confermando, nel resto, la sentenza di primo grado nei confronti degli altri imputati.

1. In punto di diritto, la Corte di Assise di Appello di Roma, con riferimento alla tematica del concorso di persone nel reato, ha ricordato come questo abbia, «secondo la teoria monistica accolta dal legislatore, struttura unitaria, nella quale l’azione tipica e costituita dall’insieme delle condotte dei vari compartecipi, purché sussista, sotto l’aspetto oggettivo, la connessione causale degli atti dei singoli compartecipi e, sotto l’aspetto soggettivo, la consapevolezza dei singoli autori del collegamento finalistico tra i vari atti, con la conseguenza che, essendo gli atti del singolo nello stesso tempo atti loro propri ed atti comuni a tutti i compartecipi , di essi ciascuno risponde interamente»

Ne consegue che «nel caso in cui il reato sia stato commesso da più persone, tutti ne rispondono, anche se la condotta tipica sia stata posta in essere solo da uno o da alcuni di essi, sempre che gli altri abbiano dato un contributo causale alla determinazione dell’evento; contributo che può essere materiale, se i concorrenti hanno tenuto o agevolato la medesima condotta tipica o anche solo morale, se i concorrenti hanno tenuto una condotta di istigazione o di rafforzamento del proposito criminoso».

2. Quanto all’elemento soggettivo – qualificato in sentenza nella forma del dolo eventuale – la Corte di Assise di Appello ha disatteso le censure difensive aderendo all’orientamento giurisprudenziale secondo cui «si configura il delitto di omicidio volontario – e non quello di omicidio preterintenzionale, caratterizzato dalla totale assenza di volontà omicida – quando la condotta, alla stregua delle regole di comune esperienza, dimostri la consapevole accettazione da parte dell’agente anche soio dell’eventualità che dal suo comportamento possa derivare la morte del soggetto passivo».

Anche ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato – si legge nella decisione – «valgono le considerazioni sopra esposte in merito alla struttura unitaria del concorso di persone nel reato, nel senso che l’azione deve essere valutata nella sua interezza e non nei singoli atti , che i singoli autori devono essere consapevoli del collegamento finalistico tra i vari atti e che, in presenza dei requisiti richiesti, i concorrenti rispondono del medesimo titolo soggettivo di partecipazione al fatto-reato».

Ciò chiarito, ad avviso dei giudici di secondo grado «risulta con evidenza la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di omicidio volontario, nella forma del dolo eventuale, in quanto i concorrenti, con la condotta violenta tenuta da ciascuno di essi, pur rappresentandosi che il brutale pestaggio potesse determinare la morte della vittima, hanno agito ugualmente non solo accettando il rischio ma palesando un’adesione psicologica all’evento poi verificatosi».

In tal senso, la Corte ha ritenuto «significativi gli elementi emersi con rassicurante certezza all’esito dell’istruzione dibattimentale, tra i quali l’affiancamento del Belleggia e del Pincarelli ai fratelli Bianchi e la movimentazione di tutti verso il medesimo obiettivo (il giovane Willy); la potenza e la reiterazione dei colpi inferti alla vittima finanche quando ormai era a terra inerme; la particolare tecnica dei colpi sferrati per imprimere maggiore forza da soggetti esperti di arti marziali (ad eccezione del Pincarelli ); le regioni dei corpo attinte (torace, testa, collo, addome) tutte sedi di organi vitali; le rilevanti conseguenze lesive riportate dalla vittima sul corpo, quali evidenziate da tutti i consulenti medico legali».

Secondo la Corte, «in tale contesto, e secondo le regole della comune esperienza, deve del tutto escludersi che gli imputati abbiano agito al solo fine di cagionare lesioni alla vittima, ove si consideri anche che sin dal calcio iniziale Willy è già incapace di difendersi, tanta che in suo aiuto interviene il Cenciarelli, parimenti colpito con violenza con calci e pugni».

In tutto ciò, «scarsamente significativo è se il calcio al torace sia o meno vietato dalla disciplina delle arti marziali, in quanto nel caso di specie il colpo è stato sferrato non in ambito agonistico, contro un atleta di pari prestanza fisica, preparato a riceverlo e a pararlo , ma all’improvviso, contro un ragazzo dalla corporatura esile». Né può assumere rilievo la circostanza della mancanza di un preventivo accordo tra gli imputati, «in quanto la scelta dei partecipi di tenere una determinata condotta può essere anche estemporanea, presa cioè al momento in cui si verifica l’episodio».

3. Altro tema affrontato in pronuncia è quello del cd. “concorso anomalo“, su cui la Corte ha disatteso le argomentazioni difensive evidenziando come «la configurabilità di tale istituto sia “soggetta a due limiti negativi e, cioè, che l’evento diverso non sia voluto neppure sotto il profilo del dolo alternativo o eventuale e che l’evento più grave, concretamente realizzato, non sia conseguenza di fattori eccezionali, sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base».

Nel caso di specie – si legge nella sentenza – «il concorso anomalo non è il alcun modo configurabile in quanto gli imputati rispondono tutti del delitto di omicidio volontario, nella forma del dolo eventuale, e quindi difetta uno dei due limiti negativi (né sussiste l’altro, in quanto la morte della vittima è conseguenza diretta della condotta violenta degli imputati e non certo dovuta a fattori eccezionali».

4. E’ stata disattesa anche la richiesta di riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p. della cd. “minima importanza” avanzate dal difensore di uno degli imputati, posto che, a tal fine, «non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, ma è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale cosi lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso»; situazione, quest’ultima, non ritenuta sussistente «in quanto il ruolo svolto dal Pincarelli, quale descritto dai testi escussi, consistito nel colpire Willy ormai a terra con calci e pugni, non è in alcun modo marginale rispetto all’evento poi verificatosi ma di pari valenza negativa anche se di minore efficacia causale rispetto a quello svolto dagli altri concorrenti».

5. La Corte ha anche rigettato la richiesta di esclusione della aggravante dei futili motivi – avanzata da alcuni imputati – aderendo all’orientamento secondo cui «tale aggravante sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa, tanto da potersi considerare, piú che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento».

Ad avviso dei giudici, «nel caso di specie, è del tutto evidente l’assoluta sproporzione tra la gravità del reato, commesso con l’impiego di una forza tanto brutale e incongrua quanto inutile, peraltro in danno di un giovane completamente estraneo alla vicenda, e l’asserito “stimalo esterno”, tale da risolversi in un mero pretesto per dare sfogo ad impulsi violenti».

6. La Corte ha invece ritenuto meritevole di accoglimento la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche avanzata dai difensori dei fratelli Bianchi, sebbene le stesse siano state poi ritenute equivalenti e non prevalenti rispetto alla contestata aggravante.

Sul punto, i giudici hanno ricordato come «al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice possa limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente».

Ciò premesso, i giudici hanno ritenuto che a tal fine assuma «precipua e assorbente rilevanza l’individuazione dell’elemento soggettivo del reato nella forma del dolo eventuale», avendo la stessa sentenza impugnata riconosciuto che «il calcio iniziale al torace non è stato sferrato da Bianchi Gabriele con il diretto proposito di uccidere (pur rappresentandosi l’evento l’imputato ha ugualmente sferrato tale colpo “cosi accettando il rischio che Willy potesse morire)» e che «analoga accettazione del rischio sia riconosciuta anche agli altri imputati in ragione della violenta condotta tenuta dagli stessi contro la giovane vittima».

Tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p. ai fini della concessione delle attenuanti generiche, «figura appunto “l’intensità del dolo” ed è indubbio che tra le varie forme di dolo elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza quella del dolo eventuale si collochi al livello più basso di intensità rispetto al dolo intenzionale e al dolo diretto». Si impone, quindi, «di adeguare la sanzione al fatto, non potendosi, evidentemente, applicare la medesima pena (la massima) per casi diversi, sorretti da una più intensa volontà omicidiaria. Inoltre, non si può non considerare che i fratelli Bianchi sono del tutto estranei al contrasto iniziale che ha poi provocato la violenta aggressione, che la condotta degli imputati si è esaurita in un breve lasso di tempo ( circa 40/50 secondi) e che il violento pestaggio è ascrivibile anche agli altri imputati».

7. Da ultimo – ma sempre in merito alla riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche – la Corte ha svolto una considerazione sulla personalità dei fratelli Bianchi e sul clamore mediatico che ha accompagnato il processo.

Se, da un lato, risulta che gli imputati, «gravati da un precedente per cessione di sostanze stupefacenti ed estorsione di non particolare rilievo, erano conosciuti nel loro ristretto ambito territoriale come soggetti che praticavano le arti marziali (MMA) e che si mostravano aggressivi e violenti ulteriori», dall’altro vi sono ulteriori elementi pur valorizzati in sentenza – quali la partecipazione ad una chat Whatsapp denominata “La gang dello scrocchio”, video e foto evocativi di uno stile di vita improntato alla forza fisica, dove non sempre è agevole distinguere la finzione dalla realtà, la devianza dal cattivo gusto – che «trasferiti in una dimensione più ampia ed alimentati dai mezzi di comunicazione e dai social, finiscono con il rendere un’immagine distorta ed esasperata (il “mostro a due teste ” richiamato da uno dei difensori), con il rischio di sovrapporre all’accertamento giudiziario una valutazione di tipo etico e finanche estetico».

Riconoscendo che la censura di eccesso di clamore mediatico mossa dai difensori qui abbia colto nel segno, la Corte ha concluso evidenziando come «la negativa personalità dei fratelli Bianchi non possa ritenersi un elemento così soverchiante da prevalere finanche sull’elemento soggettivo del reato».

Redazione Giurisprudenza Penale

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