Contraffazione del marchio “CE” e frode nell’esercizio del commercio
[a cura di Filippo Lombardi]
Cassazione Penale, 17 ottobre 2023 (ud. 28 settembre 2023), n. 42329
Presidente Rosi, Relatore Sgadari, P.M. F. Baldi (concl. conf.)
Si segnala la sentenza n. 42329 del 2023, con la quale la Corte di cassazione ha espresso alcuni importanti principi ermeneutici in ordine alle fattispecie criminose configurabili nel caso di contraffazione del marchio “CE”.
Allineandosi a recente giurisprudenza, la Corte ha affermato che la vendita di prodotti con dicitura “CE” contraffatta integra il delitto di frode nell’esercizio del commercio e non il delitto di detenzione per la vendita di prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi contraffatti o alterati. Infatti, la dicitura in esame non costituisce un vero e proprio “marchio”, (vale a dire un elemento, o segno, o logo, idoneo a distinguere un manufatto da un altro), ma «assolve alla diversa funzione di garantire al consumatore la conformità del prodotto su cui è apposta ai livelli di qualità e di sicurezza previsti dalla normativa dell’Unione europea» (in termini, Cass. pen., sez. II, 25 maggio 2021, n. 30026, CED 281809).
Proprio perché l’interesse dell’ordinamento è quello di garantire l’aspettativa della collettività circa la rispondenza del prodotto ai requisiti previsti dall’UE in materia di sicurezza, salute e tutela dell’ambiente, è considerato irrilevante «l’accertamento in concreto delle caratteristiche del prodotto destinato alla vendita, che potrebbero anche essere superiori a quelle dichiarate, rilevando esclusivamente la lesione dell’ordine economico e della regolarità del commercio operata dalla diffusione di beni differenti da quelli dichiarati» (sul punto, Cass. pen., sez. III, 14 dicembre 2018, dep. 2019, n. 17686, CED 275932).
Costituisce invece un elemento significativo sotto il profilo della prova circa l’irregolarità dell’apposizione, la mancata consegna, da parte di colui che pone in vendita prodotti che recano il marchio “CE”, nel corso di un controllo, della documentazione che attesta la regolarità dell’apposizione di tale marchio, integrando essa l’omissione di una condotta richiesta agli operatori economici. Emerge infatti dalla normativa europea in materia, costituita dal Regolamento n. 765 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008 e dalla decisione n. 768 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008, che «i distributori devono poter dimostrare che hanno agito con la dovuta diligenza, verificando la regolarità del suddetto marchio, e devono essere in grado di assistere le autorità nazionali nel reperire la necessaria documentazione dimostrativa» (v. sul punto Cass. pen., sez. III, 26 settembre 2019, n. 50783, CED 277688).
In definitiva dunque «integra il reato di tentativo di frode nell’esercizio del commercio l’apposizione, su beni destinati alla vendita, del marchio contraffatto CE, poiché questo garantisce non solo la provenienza del bene dall’Europa, ma anche la sussistenza dei requisiti aprioristicamente standardizzati dalla normativa comunitaria, che possono essere scelti dall’acquirente in ragione della loro origine e provenienza controllata alla fonte» (Cass. pen., sez. III, n. 17686/2018, dep. 2019, cit.).