Minaccia di azioni legali per ottenere il pagamento dei compensi e configurabilità del reato di estorsione
Cassazione Penale, Sez. II, 19 dicembre 2023 (ud. 10 novembre 2023), n. 50652
Presidente Rosi, Relatore Recchione
In tema di delitti contro il patrimonio, segnaliamo ai lettori la sentenza con cui la Corte di cassazione si è pronunciata sulla configurabilità del reato di estorsione nel caso di minaccia di azioni legali, da parte di un avvocato, finalizzate ad ottenere il pagamento dei propri compensi professionali.
La Corte prende le mosse ribadendo l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “integra il reato di estorsione, e non quello di truffa, la minaccia di prospettare azioni giudiziarie – decreti ingiuntivi e pignoramenti – al fine di ottenere somme di denaro non dovute o manifestamente sproporzionate rispetto a quelle dovute, qualora l’agente ne sia consapevole, potendosi individuare il male ingiusto ai fini dell’integrazione del più grave delitto nella pretestuosità della richiesta“.
La minaccia di adire le vie legali – prosegue la pronuncia – “pur avendo un’esteriore apparenza di legalità, può integrare l’elemento costitutivo del delitto di cui all’art. 629 c.p. quando sia formulata non con l’intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l’altrui volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia“.
Ciò premesso, nel caso di specie, ad avviso dei giudici di legittimità, “l’azione costrittiva non è stata identificata nella minaccia di far ricorso all’autorità giudiziaria per ottenere somme non dovute, ma nel concreto ottenimento, attraverso la mediazione di un giudice civile, di atti di decreto ingiuntivo e precetto, oltre che nelle successive azioni di pignoramento“. Si sarebbe, dunque, in presenza di condotte “che non possono essere inquadrate come estorsione perché l’intervento del giudice esclude la sussistenza sia di una illecita costrizione, sia di un profitto ingiusto“.
Quanto alla diversa ipotesi di estorsione tentata – relativa all’attività diretta a percepire la somma derivante dalla differenza tra quanto indicato negli atti di precetto e quella già ottenuta attraverso i pignoramenti – le affermazioni della Corte di Appello “non risolvono l’ontologica incompatibilità tra l’attivazione di cause civili, che implica la mediazione giudiziale, e l’azione estorsiva“.
Né è stato ritenuto decisivo l’argomento relativo al precedente pagamento di alcuni acconti da parte dell’assistito – non dichiarati nelle richiesta di decreto ingiuntivo – trattandosi di fatto “che ha una indiscussa rilevanza civilistica, ma che, tenuto conto della contestazione, non è sufficiente a consentire l’inquadramento della azione giudiziaria come diretta ad ottenere un ulteriore profitto, in ipotesi ingiusto, anche perché tale condotta non è descritta nel capo di imputazione“.
Si è al cospetto – conclude la pronuncia – “di una controversia civilistica inerente la quantificazione degli importi dovuti per la prestazione d’opera professionale“.