Caso Alex Pompa: depositate le motivazioni con cui la Corte d’Assise di Appello di Torino ha escluso la legittima difesa
[a cura di Guido Stampanoni Bassi]
Corte d’Assise di Appello di Torino, Sezione I, 8 marzo 2024 (ud. 13 dicembre 2023), n. 26
Presidente dott.ssa Cristina Domaneschi, Consigliere estensore dott.ssa Flavia Panzano
Segnaliamo, in merito al processo a carico di Alex Cotoia (già Pompa) – il ragazzo imputato per l’omicidio del padre violento e assolto, in primo grado, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, essendo stata ritenuta ravvisabile la scriminante della legittima difesa – la sentenza con cui la Corte d’Assise di Appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato l’imputato alla pena di anni 6, mesi 2, giorni 20 di reclusione.
Come avevamo anticipato, la Corte d’Assise di Appello di Torino aveva sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione agli articoli 3 e 27 commi 1 e 3 Cost, dell’art. 577, comma 3 c.p. nella parte in cui impedisce il giudizio di prevalenza, ai sensi dell’art. 69 c.p., delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante della provocazione rispetto alla circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio volontario, in relazione al fatto commesso contro l’ascendente, dall’art. 577 comma 1 n.1) del codice penale.
Con la sentenza n. 197/2023, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 577, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui vieta al giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, primo comma, numero 2), e 62-bis cod. pen.
Nel processo d’appello ripreso a seguito del deposito della Corte costituzionale, i giudici di appello hanno escluso la sussistenza, nel caso di specie, della legittima difesa.
In punto di diritto (da pagina 42 della pronuncia), la Corte ha preso le mosse ricordando come “presupposti essenziali della legittima difesa siano un’aggressione ingiusta e una reazione legittima: mentre la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione di un diritto (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge, la seconda deve inerire alla necessita di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla proporzione tra difesa e offesa, non potendo, certamente, dirsi sufficiente al suo riconoscimento un pericolo eventuale, futuro, meramente probabile o temuto“.
L’attualità del pericolo richiesta per la configurabilità della scriminante della legittima difesa – prosegue la decisione – “implica un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista, prodromico di una determinata offesa ingiusta, la quale si prospetti come concreta e imminente, cosi da rendere necessaria l’immediata reazione difensiva, sicché resta estranea all’area di applicazione della scriminante ogni ipotesi di difesa preventiva o anticipata, che non soddisfi i requisiti della attualità e della necessità“.
Ne deriva “che la reazione può dirsi legittima allorché concorrano: la necessita di difendersi, ossia l’impossibilita di sottrarsi al pericolo senza offendere l’aggressore; l’inevitabilità altrimenti dell’offesa, ossia l’impossibilita del soggetto di difendersi con un’offesa meno grave di quella arrecata; la proporzione tra difesa e offesa, che sussiste allorquando il male inflitto all’aggressore e inferiore, uguale o tollerabilmente superiore al male subito o minacciato, cosi da doversi concludere, come ampiamente argomentato in precedenza, che non vi sia spazio per il suo riconoscimento nella vicenda in esame“.
Il padre dell’imputato – affermano i giudici d’appello – “verbalmente aggressivo e minaccioso nei confronti della moglie, secondo un abituale registro comunicativo endofamiliare e provocatorio nei confronti dei figli, che sfidava ad affrontarlo sotto casa, era, infatti, disarmato, isolato e, anche a voler ritenere dimostrato che il movimento che l’imputato coglieva in lui fosse stato effettivamente finalizzato ad andare in cucina per armarsi (interpretazione che risulta affidata alle sole dichiarazioni del prevenuto ), ciò non avrebbe, comunque, integrato né l’impossibilita di sottrarsi al pericolo esclusivamente attraverso l’offesa all’aggressore, tenuto canto che, con uno spintone era stato già deviato dal suo tragitto, che veniva accoltellato alle spalle e che era in minoranza numerica rispetto ai due figli ( mentre la madre, oggetto preferenziale delle sue minacce, si era chiusa in bagno) né, soprattutto, l’impossibilita di difendersi con un’azione meno grave di quella arrecata“.
Quanta alla necessaria proporzione tra difesa e offesa, “è del tutto evidente che l’offesa arrecata al Pompa attraverso l’utilizzo di sei armi e l’inflizione di trentaquattro coltellate non possa dirsi in alcun modo inferiore, uguale o tollerabilmente superiore al male subito o minacciato“.
Quanto alla forma putativa della legittima difesa, la Corte ricorda che “essa postula i medesimi presupposti di quella reale, con la sola differenza che la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente, ma è solo supposta dall’agente a causa dell’erroneo apprezzamento dei fatti. Tale errore- che ha efficacia esimente se e scusabile e comporta responsabilità di cui all’art. 59 c.p., quando sia determinato da colpa – deve in entrambe le ipotesi trovare adeguata giustificazione in quel fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell’agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo attuale di un’offesa ingiusta, con la conseguenza che la legittima difesa putativa non possa valutarsi alla luce di un criterio esclusivamente soggettivo e desumersi, quindi, dal solo stato d’animo dell’agente, dal solo timore o dal solo errore, dovendo, invece, essere considerata anche la situazione obiettiva che abbia determinato l’errore stesso“.
In definitiva, “operato l’accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa, reale o putativa e dell’eccesso colposo con giudizio “ex ante”, calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, deve ritenersi che, pur a fronte della condotta minacciosa e aggressiva che il padre aveva tenuto anche nel corso di quella serata, le circostanze che la moglie si trovasse in bagno a fare la sua toilette serale (secondo la “routine” più volte evocata) o, comunque, in bagno potesse trovare rifugio (come, certamente avvenuto) e, dunque, non potesse dirsi esposta al pericolo concreto di un’offesa; che l’imputato non si trovasse da solo con il padre ma fosse in compagnia del fratello (la colluttazione li aveva coinvolti entrambi); che gli stessi, giovani e nel pieno delle loro energie, già in passato lo avessero affrontato con successo e ne avessero arginato la pericolosità (tanto da assumere, come dagli stessi riferito, il ruolo di “guardie del corpo” della madre); che l’uomo versasse in stato di ubriachezza e, dunque, maggiormente collerico, fosse, comunque, deficitario nella coordinazione motoria e, in genere, nelle capacità difensive e, soprattutto, che lo stesso, anche ove avesse effettivamente avuto l’intenzione di farlo, fosse disarmato e fosse stato spintonato in direzione della porta di ingresso, non riuscendo ad entrare in cucina (locale che non veniva interessato dall’azione criminosa) dimostrano l’insussistenza della scriminante“.