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Il ruolo della Corte Penale Internazionale nella crisi di Gaza. I fondamenti giuridici della richiesta dei mandati di arresto del Procuratore della Corte penale internazionale.

in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 5 – ISSN 2499-846X

L’iniziativa davanti alla Corte penale dell’Aja dovrebbe essere vista a favore dei sussulti democratici di Israele e a sostegno del futuro di Gaza, dove sarà necessario restituire il controllo legittimo all’Autorità palestinese. I detrattori della giustizia internazionale sembrano invece trovare argomenti dopo le reazioni degli Stati Uniti e di diversi Stati occidentali contro il procuratore della Corte. Occorre invece che l’Occidente non delegittimi la Corte penale internazionale, perché si porrebbero in discussione anche i mandati d’arresto per Putin e i generali russi responsabili delle gravi violazioni al diritto internazionale dei conflitti armati commesse in Ucraina.

 

1. Le reazioni degli Usa: nessuna «equivalenza» tra Israele e Hamas.

Il Procuratore della Corte penale internazionale (CPI) ha formulato la richiesta di mandati d’arresto per i capi di Hamas, ma anche per il premier israeliano Netanyahu e il suo ministro della difesa Gallant. L’accusa al vaglio della Pre Trial Chamber è per crimini di guerra e contro l’umanità: il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale penale non ammettono eccezioni per nessuno, né per terroristi né per Capi di stato e di governo. Le conseguenze potrebbero essere determinanti sia per il futuro di Gaza, dove l’Autorità palestinese potrebbe riprendere il controllo legittimo, sia per Israele, dove i sussulti democratici minacciano Netanyahu e il governo dell’ultradestra nazionalista.

Nonostante ciò stanno suscitando non poche polemiche le reazioni di diversi Stati occidentali, degli Stati Uniti in particolare dove lo stesso presidente Biden ha dichiarato: «Vorrei essere chiaro: qualunque cosa questo procuratore possa indicare, non esiste alcuna equivalenza – nessuna – tra Israele e Hamas. Saremo sempre al fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza». Sarà dunque sconcertato il procuratore della Corte penale dell’Aja Karim Khan che si è attirato gli strali di molti Stati occidentali che affiancano Israele nel sostenere che tutto è a causa dalla strategia di Hamas e del mentore dei terroristi palestinesi, l’Iran.

È difficile fare previsioni su come evolverà la situazione ma c’è da sperare che l’Occidente attenui le proteste contro la Corte, perché la delegittimerebbero definitivamente ponendo in discussione anche i mandati d’arresto emessi per il trasferimento forzato di minori ucraini nei confronti di Putin e per i bombardamenti indiscriminati sull’Ucraina di cui sono imputati due generali russi. Certo, Israele non accetterà facilmente e subito le decisioni della Corte, come non sta accettando le intimazioni dell’Occidente a fermare l’attacco su Rafah, ma è pur sempre una democrazia, e col tempo l’opposizione, i media e i sussulti democratici potrebbero riavere peso, e anche gli organi della giustizia interna, ancora sostanzialmente indipendenti, potrebbero riaffermare i principi di diritto contro i governi in carica.

Un ultimatum per Netanyahu è stato lanciato comunque dal membro moderato del governo Benny Gantz: se entro il prossimo 8 giugno non saranno fissate le priorità di un piano per Gaza, abbandonerà l’esecutivo sciogliendo di fatto la maggioranza della destra ultranazionalista per dar luogo a nuove elezioni.

 

2. I fondamenti della giurisdizione della Corte.

È bene dunque approfondire l’articolato statement [1] del Procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan. La richiesta di mandati d’arresto è nei confronti dei tre capi di Hamas Yahya Sinwar, Ibrahim Al-Masri e Ismail Haniyeh quali responsabili diretti dei massacri del 7 ottobre, costati oltre 1200 vittime, e della cattura di almeno 245 ostaggi, nonché per il premier  israeliano Netanyahu e il ministro della difesa Gallant per i bombardamenti indiscriminati e il blocco degli aiuti umanitari che hanno causato ad oggi oltre 34.000 vittime civili tra la popolazione palestinese.

Il Prosecutor Khan precisa di essersi avvalso di una molteplicità di testimonianze, prove documentali in video, audio e fotografie, nonché di immagini satellitari passate al vaglio dell’autenticità, e «come ulteriore garanzia» di avere consultato anche un «gruppo imparziale» di giuristi di alto profilo, esperti nel diritto internazionale umanitario e nel diritto internazionale penale. Tra questi figurano Adrian Fulford avvocato già giudice alla Corte penale internazionale e ora all’Alta Corte d’Inghilterra e Galles, Helena Kennedy presidente dell’Istituto per i diritti umani dell’Associazione internazionale degli avvocati, Elizabeth Wilmshurst ex consigliere giuridico del Commonwealth, l’avvocata internazionalista araba Amal Clooney, l’autorevole Theodor Meron, avvocato e giudice israeliano naturalizzato statunitense, visiting professor all’Università di Oxford e già presidente del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, e ancora Kevin Jon Heller professore di diritto internazionale all’Università di Copenaghen, e il senegalese Adama Dieng già consigliere speciale delle Nazioni Unite per la prevenzione del genocidio.

Il Procuratore richiama inoltre i principi della effettività della giurisdizione della Corte sui territori palestinesi e il principio di «complementarietà». Il 5 febbraio 2021, con la Decision on the ‘Prosecution request pursuant to article 19(3) for a ruling on the Court’s territorial jurisdiction in Palestine’ ICC-01/18-143 [2], la Pre Trial Chamber I ha sancito la giurisdizione penale della Corte nella «situazione nello Stato di Palestina» e tale giurisdizione si estende a Gaza e alla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, con mandato pieno anche per l’escalation delle violenze dal 7 ottobre 2023 in poi. Peraltro la Corte, ai sensi dell’articolo 12 dello Statuto, ha piena giurisdizione sui crimini commessi sia da cittadini di Stati Parte come anche da cittadini di Stati non Parte, purché commessi sul territorio di uno Stato Parte (si estende dunque a Israele per i fatti commessi sui territori palestinesi, come d’altronde si è sancito per la Federazione Russa, Stato non parte, per i crimini di guerra commessi in Ucraina, posto che quest’ultima ha aderito allo Statuto della Corte).

Per il principio di «complementarietà» dell’articolo 17 dello Statuto, prevale la giurisdizione degli Stati nazionali, per cui la Corte penale dell’Aja non interviene se per gli stessi fatti viene assicurato l’avvio di un procedimento interno agli Stati. Tuttavia il procuratore Khan rimarca che le autorità nazionali devono impegnarsi in procedimenti giudiziari «indipendenti e imparziali», che «non proteggano gli indagati e non siano una farsa»: ricorrerebbero altrimenti il «difetto di volontà» (unwillingness) o il «difetto di capacità» (inability) che impongono l’intervento della Corte.

La cornice giuridica  della giurisdizione della Corte viene quindi delineata in maniera inequivoca tanto con riferimento alle Convenzioni dell’Aja e di Ginevra (e del Protocollo I), ovvero «nel contesto di un conflitto armato internazionale tra Israele e Palestina»,  quanto in quello del Protocollo II, cioè anche nel contesto di «un conflitto armato non internazionale tra Israele e Hamas in corso in parallelo»: è una precisazione non irrilevante perché è tesa a confermare la “statualità palestinese” e comunque a sgomberare ogni dubbio anche se Israele sostenesse la linea che si tratti di territori “interni”.

Importante è il richiamo alla responsabilità diretta dei capi, perché i crimini di guerra e contro l’ umanità indagati sono stati commessi «su larga scala», rientrano in un piano esteso e preordinato, e si configurano pertanto non come fatti isolati ma quali “leadership crime”,  crimini dei capi – tanto di Hamas quanto di Israele – i quali pertanto ne risponderanno sia come co-autori ai sensi dell’articolo 25 dello Statuto, sia per la “responsabilità da comando” ai sensi dell’articolo 28, per averli ordinati o per omissioni nel mancato controllo o nell’aver consentito comportamenti illegali compiuti dai sottoposti.

 

3. Le responsabilità di Hamas e quelle di Israele.

Lo statement del Procuratore Khan si sviluppa in primo luogo sulle gravi responsabilità dei capi di Hamas, in particolare dell’ala militare delle Brigate al-Qassam, per crimini contro l’umanità (articolo 7 dello Statuto della CPI) e crimini di guerra (articolo 8), anche nel contesto della “prigionia” riferita in senso ampio allo status degli ostaggi: sterminio (art. 7 para 1, lettera b); omicidio (art. 7, para 1, lettera a) e art. 8 para 2, lettera c) punto i); presa di ostaggi (art.8, para 2, lettera c), punto iii); stupro e altri atti di violenza sessuale (art. 7, para 1, lettera g), e art. 8, para 2, lettera e), punto vi); tortura (art. 7, para 1, lettera f), e art. 8 para 2, lettera c), punto i); altri atti disumani ( art. 7, para. 1, lettera k), trattamenti crudeli (art. 8, para 2, lettera c), punto i), e oltraggi alla dignità personale (art. 8, para 2, lettera c), punto ii).

Al di là del tecnicismo delle imputazioni, il Prosecutor dell’Aja si sofferma sul vissuto personale delle indagini: «Parlando con i sopravvissuti, ho sentito come l’amore di una famiglia, i legami più profondi tra un genitore e un figlio siano stati stravolti per infliggere un dolore insondabile con una crudeltà calcolata e un’estrema insensibilità». E aggiunge: «Vi sono ragionevoli motivi per ritenere che gli ostaggi siano stati tenuti in condizioni disumane e che alcuni siano stati oggetto di violenze sessuali, compreso lo stupro (…). Siamo giunti a questa conclusione sulla base di cartelle cliniche, prove video e documentali, e colloqui con vittime e sopravvissuti».

Altrettanto gravi sono le imputazioni per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant. Si tratta innanzitutto di crimini di guerra: «morte per fame di civili come metodo di guerra» (art. 8 para 2 lettera b), punto xxv, dello Statuto); «causare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi lesioni al corpo o alla salute» (art. 8 para 2 lettera a9 punto iii); «trattamenti crudeli» (art.8 para 2 lettera c) punto i). E ancora: omicidio volontario (art. 8 para2, lettera a) punto i), omicidio (art. 8 para 2 lettera c) punto i); «dirigere intenzionalmente attacchi contro una popolazione civile» (art. 8 para 2 lettera b) punto i), o art. 8, para 2 lettera e) punto i). Seguono i crimini contro l’umanità: sterminio e omicidio, commessi «anche nel contesto di decessi causati dalla fame» (art. 7 para 1 lettere b e a); persecuzioni (art. 7 para 1 lettera h) e altri atti disumani (art.7 para 1 lettera k).

Il procuratore Khan delinea anche un quadro specifico molto serio delle gravi responsabilità dei leader israeliani: i crimini commessi da Israele sono stati compiuti «nell’ambito di un attacco diffuso e sistematico» contro la popolazione civile palestinese, e «in base alla politica dello Stato». L’accusa è perciò rivolta alla «imposizione di un assedio totale su Gaza che ha comportato la chiusura completa dei tre valichi di frontiera, Rafah, Kerem Shalom ed Erez», nonché al blocco arbitrario di aiuti essenziali, tra cui cibo e medicine, e risorse elettriche e idriche per periodi prolungati. Il prosecutor rimarca dunque un «piano comune per usare la fame come metodo di guerra» e per «punire collettivamente la popolazione civile di Gaza», ancorché finalizzato ad «assicurare il ritorno degli ostaggi».

Da qui il richiamo ai principi fondamentali su cui si basa la richiesta di arresto per il leader israeliani: 1) Israele, come tutti gli Stati, ha il diritto di agire per difendere la sua popolazione, tuttavia «tale diritto non esonera Israele o qualsiasi altro Stato dall’obbligo di rispettare il diritto internazionale umanitario»; 2) indipendentemente dall’obiettivo militare, «i mezzi che Israele ha scelto per raggiungerli a Gaza – vale a dire, causare intenzionalmente morte, fame, grandi sofferenze e gravi lesioni al corpo o alla salute della popolazione civile – sono criminali».

Hamas e Israele erano stati già ampiamente avvertiti delle conseguenze delle loro azioni Gaza quando il procuratore Khan già il 29 ottobre si era recato al  valico di frontiera di Rafah in Egitto, senza riuscire ad entrare a Gaza, e aveva lanciato un primo statement con le sue linee d’azione, riprese in un editoriale del Guardian.

La prima riguardava Hamas: la Corte avrebbe individuato i «responsabili dell’organizzazione e dell’ attuazione delle atrocità del 7 ottobre», e anche delle «presa di ostaggi, un crimine di guerra ai sensi dello Statuto di Roma», perché «roghi, stupri e uccisioni non possono avvenire come se fossero normali; i bambini, gli uomini, le donne e gli anziani non possono essere strappati dalle loro case e presi in ostaggio, qualunque sia la ragione».

La seconda linea era per Israele: «Israele ha obblighi chiari in relazione alla sua guerra con Hamas: non solo obblighi morali, ma obblighi giuridici, nel rispetto delle leggi sui conflitti armati». Per i responsabili del lancio di missili su qualsiasi abitazione, scuola, ospedale, chiesa o moschea, «questi luoghi sono protetti e se c’è il dubbio che un bene civile abbia perso il suo status di protezione l’ aggressore deve presumere che sia protetto. L’onere di dimostrare che questo status è alterato spetta a chi spara». E ancora: Israele ha un esercito professionale, giuristi militari e un sistema basato sul rispetto del diritto internazionale umanitario, per cui dovrà dimostrare che «qualsiasi attacco è stato condotto in conformità con le leggi e le consuetudini dei conflitti armati», a cominciare dalla «corretta applicazione dei principi di distinzione, precauzione e proporzionalità», e dal divieto di «affamare le popolazioni».

 

4. In gioco i principi della giustizia penale internazionale.

La Corte penale internazionale era stata sempre accusata dai suoi detrattori, in specie dagli attori del Global South, di ipocrisia e arrendevolezza quando si trattava di avviare procedimenti nei confronti del mondo occidentale.

Le delegittimazioni sono venute anche dall’Occidente: la precedente procuratrice Fatou Bensouda era stata accusata di antisemitismo dallo stesso Netanyahu quando ha avviato procedimenti per ipotesi di crimini commessi dall’esercito israeliano nei territori palestinesi. Addirittura era stata oggetto di un executive order di congelamento di beni e di misure restrittive di accesso negli Usa (le stesse adottate per i terroristi) del presidente Trump per avere avviato accertamenti su soldati americani per fatti riguardanti le missioni in Afghanistan e in altre aree di crisi.

Con Biden l’ordine esecutivo era stato revocato, ed erano stati intrapresi seri rapporti di collaborazione dalle agenzie statunitensi con lo stesso ufficio del Procuratore dell’Aja. È sembrato dunque che alla Corte penale internazionale – cui aderiscono 124 Stati (tra gli “Stati non parte” vi sono Usa, Cina, Russia e Israele, ma ciò non rileva se si affermano principi giuridici “universali”) – si stessero compiendo importanti passi in avanti per l’affermazione della giustizia penale internazionale, specie con l’emissione dei mandati d’arresto nei confronti di Putin e dei generali russi per la guerra in  Ucraina.

Ora potrebbe essere tutto azzerato: sta alla comunità internazionale che si identifica nello Statuto di Roma – lo Statuto della Corte penale internazionale approvato nella capitale d’Italia, nazione che fu tra i principali promotori – ribadire con forza che in tutti i contesti ai principi del diritto internazionale umanitario nessuno può derogare.

 


[1] Il testo e il video dello Statement sono disponibili al seguente link.

[2] La Decision è disponibile al seguente link.


Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Delli Santi, Il ruolo della Corte Penale Internazionale nella crisi di Gaza. I fondamenti giuridici della richiesta dei mandati di arresto del Procuratore della Corte penale internazionale, in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 5