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Caso Alex Pompa: depositata la sentenza della Corte di cassazione

Cassazione Penale, Sez. I, 25 luglio 2024 (ud. 5 luglio 2024), n. 30608
Presidente De Marzo, Relatore Centonze

Segnaliamo ai lettori, con riferimento al processo penale a carico di Alex Cotoia (già Pompa) – il ragazzo imputato per l’omicidio del padre violento (assolto in primo grado e condannato in appello) –, la pronuncia con cui la Corte di Cassazione ha disposto l’annullamento con rinvio della sentenza con cui la Corte d’Assise di Appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato l’imputato alla pena di anni 6, mesi 2, giorni 20 di reclusione ritenendo insussistenti i presupposti per invocare la legittima difesa.

Sempre la Corte d’Assise di Appello di Torino aveva, in precedenza, anche sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione agli articoli 3 e 27 commi 1 e 3 Cost, dell’art. 577, comma 3 c.p. nella parte in cui impedisce il giudizio di prevalenza, ai sensi dell’art. 69 c.p., delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante della provocazione rispetto alla circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio volontario, in relazione al fatto commesso contro l’ascendente, dall’art. 577 comma 1 n.1) del codice penale. Con la sentenza n. 197/2023, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 577, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui vieta al giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, primo comma, numero 2), e 62-bis cod. pen.


In punto di diritto, la Cassazione ha ravvisato un primo profilo di vulnerabilità della sentenza d’appello con riferimento ai principi che impongono una motivazione “rafforzata” nel caso di riforma in senso sfavorevole all’imputato della sentenza di assoluzione di primo grado, avendo la Corte di merito «trascurato il contesto ambientale di estrema drammaticità nel quale si sviluppavano gli eventi».

Il secondo profilo di vulnerabilità – prosegue la sentenza – «riguarda il giudizio sulla ricorrenza degli elementi costitutivi dell’esimente della legittima difesa, reale e putativa, il cui vaglio non appare eseguito dalla Corte di assise di appello di Torino nei rispetto dei parametri ermeneutici che governano l’applicazione di tale causa di giustificazione».

Quanto alla ricorrenza degli elementi costitutivi dell’esimente della legittima difesa reale, «le emergenze probatorie, così come richiamate dalla Corte di merito, non sembrano muoversi univocamente nella direzione di escludere la ricorrenza degli elementi costitutivi dell’esimente della legittima difesa reale, atteso che l’accoltellamento della persona offesa si verificava, dopo un iniziale litigio che coinvolgeva il padre, l’imputato, la madre e il fratello – che faceva seguito a un’aggressione verbale posta in essere dalla vittima contro la moglie, causata da motivi di gelosia -, che venivano insultati e minacciati di morte dalla vittima, che, peraltro, non si limitava ad aggredire verbalmente la consorte e i figli, ma invitava questi ultimi, con toni intimidatori, a uscire di casa per definire il contenzioso che si era sviluppato tra loro».

Tenuto conto delle minacce di morte rivolte dalla vittima a tutti e tre i suoi tre familiari – prosegue la sentenza – «la decisione della Corte di assise di appello di Torino non appare armonica con le emergenze probatorie richiamate nella stessa sentenza e rispettosa della giurisprudenza di legittimità consolidata, in tema di attualità del pericolo rilevante ex art. 52 cod. pen.», alla luce del fatto che, secondo la giurisprudenza, «ai fini sussistenza della scriminante di cui all’art. 52 cod. pen., non è necessario che l’offesa da cui scaturisce la necessità della difesa abbia già cominciato a realizzarsi, essendo sufficiente il pericolo attuale nel senso di pericolo in corso o comunque imminente di detta offesa, il quale ben può essere integrato anche da una semplice minaccia».

Quanto all’ulteriore questione relativa alla ricorrenza degli elementi costitutivi dell’esimente della legittima difesa putativa, la Corte di merito «non sembra avere tenuto in debito conto il fatto che l’atteggiamento soggettivo dell’imputato, in astratto, appariva giustificato dal suo stato d’animo, che, come detto, traeva origine dalle minacce di morte del genitore, che, a loro volta, si innestavano in un contesto di vessazioni familiari, che costituiva lo sfondo irrisolto dei rapporti interni alla famiglia».

Ne consegue che la Corte territoriale, «prima di escludere la sussistenza degli elementi costitutivi della legittima difesa putativa invocata dalla difesa del ricorrente, avrebbe dovuto verificare se l’atteggiamento del padre, che aveva minacciato di morte la madre e i figli – ponendo in essere un comportamento vessatorio che costituiva una costante dei rapporti intrafamiliari in esame – poteva rappresentare una situazione idonea a indurre in errore il ricorrente, anche alla luce del fatto che l’atteggiamento intimidatorio del genitore rappresentava un modus operandi consolidato nel tempo».

Sul punto, la Corte ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, «ai fini della legittima difesa putativa, l’errore scusabile che può giustificare la scriminante putativa deve trovare adeguata giustificazione in qualche fatto che, seppure malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell’agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo attuale di un’offesa ingiusta sulla base di dati di fatto concreti, e cioè di una situazione obiettiva atta a far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in presenza di un pericolo presente ed incombente, non futuro o già esaurito, di un’offesa ingiusta».

In conclusione, la Corte di assise di appello di Torino, «nel procedere a un nuovo vaglio delle questioni relative alla ricorrenza degli elementi costitutivi dell’esimente della legittima difesa, reale e putativa, prospettate dalla difesa del ricorrente con i primi due motivi di ricorso, dovrà confrontarsi, esercitando i poteri valutativi ed eventualmente istruttori, suoi propri», con i seguenti temi, ritenuti dalla Cassazione «indispensabili per il compimento dell’operazione demandata al Giudice del rinvio»:

1. rivalutazione del contesto ambientale e familiare nel quale era maturata la vicenda criminosa, «che dovrà essere sottoposto a un vaglio rigoroso, muovendo dal dato probatorio – che appare incontroverso – secondo cui la vittima, nel corso degli anni, aveva imposto ai congiunti e soprattutto alla moglie, un clima di tensione insostenibile»;

2. rivalutazione complessiva del contenuto delle trascrizioni delle registrazioni relative alle comunicazioni intercorse tra l’imputato e il fratello, acquisite nel corso delle indagini preliminari, «che sembrano fornire il quadro di una famiglia disfunzionale, caratterizzata da un clima fortemente conflittuale, nell’ambito della quale il padre aveva maturato una gelosia ossessiva nei confronti della moglie»;

3. rivalutazione dell’incidenza delle condizioni di disagio psichico dell’imputato, «essendo emerso dalla perizia psichiatrica svolta nel giudizio di primo grado che lo stesso era affetto da un disturbo dell’adattamento di natura ansiosa, determinato dalla situazione disfunzionale e conflittuale nella quale, da anni, versava la famiglia»;

4. rivalutazione del contenuto del messaggio inviato, alle ore 22.26 del 30 aprile 2020, dall’imputato al cellulare del fratello della vittima, rimasto senza risposta, «dal quale sembra emergere la situazione di eccezionale gravità causata dall’atteggiamento aggressivo assunto dalla persona offesa nei confronti della madre e dei suoi familiari, in conseguenza della quale l’imputato invocava l’aiuto del congiunto, con le seguenti, drammatiche, parole: “Cosa stai aspettando a intervenire? Noi qui stiamo rischiando la vita, vieni! Aiutaci! Vieni! Abiti a due minuti di macchina, ti prego!”».

Redazione Giurisprudenza Penale

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