Il turismo procreativo non è un reato universale
in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 10 – ISSN 2499-846X
Nella giornata di mercoledì 16 ottobre, il Senato della Repubblica ha approvato, in via definitiva, il DDL n. 824 avente ad oggetto “modifica all’articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da cittadino italiano“.
Il testo si compone di un unico articolo, ai sensi del quale al comma 6 dell’articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 – rubricato “Divieti generali e sanzioni” – è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana».
Legge del 19/02/2004 n. 40 – Art. 12 (Divieti generali e sanzioni)
1. Chiunque a qualsiasi titolo utilizza a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente, in violazione di quanto previsto dall’articolo 4, comma 3, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 300.000 a 600.000 euro.
2. Chiunque a qualsiasi titolo, in violazione dell’articolo 5, applica tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie i cui componenti non siano entrambi viventi o uno dei cui componenti sia minorenne ovvero che siano composte da soggetti dello stesso sesso o non coniugati o non conviventi è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 200.000 a 400.000 euro.
3. Per l’accertamento dei requisiti di cui al comma 2 il medico si avvale di una dichiarazione sottoscritta dai soggetti richiedenti. In caso di dichiarazioni mendaci si applica l’articolo 76, commi 1 e 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
4. Chiunque applica tecniche di procreazione medicalmente assistita senza avere raccolto il consenso secondo le modalità di cui all’articolo 6 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro.
5. Chiunque a qualsiasi titolo applica tecniche di procreazione medicalmente assistita in strutture diverse da quelle di cui all’articolo 10 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100.000 a 300.000 euro.
6. Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana.
7. Chiunque realizza un processo volto ad ottenere un essere umano discendente da un’unica cellula di partenza, eventualmente identico, quanto al patrimonio genetico nucleare, ad un altro essere umano in vita o morto, è punito con la reclusione da dieci a venti anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. Il medico è punito, altresì, con l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione.
8. Non sono punibili l’uomo o la donna ai quali sono applicate le tecniche nei casi di cui ai commi 1, 2, 4 e 5.
9. È disposta la sospensione da uno a tre anni dall’esercizio professionale nei confronti dell’esercente una professione sanitaria condannato per uno degli illeciti di cui al presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 7.
10. L’autorizzazione concessa ai sensi dell’articolo 10 alla struttura al cui interno è eseguita una delle pratiche vietate ai sensi del presente articolo è sospesa per un anno. Nell’ipotesi di più violazioni dei divieti di cui al presente articolo o di recidiva l’autorizzazione può essere revocata.
L’espressione “turismo procreativo” evoca le condotte di chi si reca all’estero per avvalersi degli spazi di liceità riconosciuti da quegli ordinamenti alle pratiche di maternità surrogata, che sono vietate in Italia. In dettaglio, la coppia si accorda con un centro straniero che gestisce la fecondazione di una volontaria, che porterà a termine la gravidanza. All’esito, la coppia rientra in Italia con l’atto di nascita rilasciato dall’autorità estera, che indica, quali genitori, i due cittadini italiani e ne richiede la trascrizione. All’evidenza, il documento presenta un contenuto ideologicamente falso, nella misura in cui attesta lo status filiationis, pur in assenza del collegamento genetico tra la ragazza italiana – che compare in qualità di “madre” – e il figlio.
A carico della coppia si configurerebbe il reato di cui all’art.12, VI, L. n. 40 del 2004, che punisce, con la reclusione fino a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro, “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”.
Rileva, in particolare, la condotta di “realizzazione” della maternità surrogata, configurabile in capo al medico che esegue suddette pratiche, in concorso con i “genitori” e la gestante straniera (in merito, anche con riferimento all’induzione in errore del pubblico ufficiale dell’anagrafe v. sub Cap. XXVI, §7.1).
La surrogazione di maternità, anche se praticata a titolo gratuito-solidaristico, ossia prescindendo dallo sfruttamento economico della donna che affitta il proprio utero per portare avanti la gravidanza di un figlio altrui, minerebbe la dignità della donna-madre, in quanto sarebbe oggetto della cessione il diritto fondamentale di quest’ultima a vivere la relazione di maternità con il concepito e con il nato, Una simile dissociazione di maternità contrasterebbe con l’art.31 Cost. (per quanto il Parlamento europeo, nella risoluzione del 13 dicembre 2016, sulla situazione dei diritti fondamentali dell’Unione europea, abbia invece condannato soltanto la «maternità surrogata a fini commerciali»). Il rapporto di maternità determina una relazione biologica e sociale tra la donna e il concepito prima e tra la donna e il nato poi, che mancherebbe nel caso di surrogazione: se l’ovulo appartiene a una donna diversa da quella che porta avanti la gestazione per altri (la prima potrebbe essere una donatrice anonima o la stessa richiedente), si realizzerebbero due relazioni di maternità: la prima tra la donna-madre che fornisce l’ovulo e il concepito/nato; la seconda tra la donna-madre gestazionale e lo stesso concepito/nato.
Una simile situazione dà pertanto luogo a relazioni in cui, inevitabilmente, una delle due donne-madri deve rinunciare (nella migliore delle ipotesi sulla base di un accordo stipulato in situazioni di parità) alla propria maternità, pur avendone pieno titolo. La maternità surrogata «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina in profondo le relazioni umane», in quanto tali accordi «comportano il rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate» (Corte cost., sent. n.272/2017). La Corte europea dei diritti dell’uomo, invece, in un impianto sovranazionale che rimette la rilevanza penale del fenomeno alla valutazione dei legislatori nazionali, è netta nell’indicare l’esigenza che sia riconosciuto il legame di filiazione con entrambi i componenti della coppia (genitore biologico e genitore intenzionale) che del minore si prendono cura, almeno nei casi in cui sussista il legame biologico con uno dei due (un profilo che non dà rilievo di per sé alla gestazione per altri, ma all’assenza di un collegamento biologico, v. Corte EDU, 22 giugno 2023).
Nell’ottica del bilanciamento tra gli interessi, la Corte costituzionale, n.33 del 2021, ha considerato l’interesse del bambino come un valore bilanciabile rispetto agli altri in conflitto: a rilevare non è il diritto alla genitorialità, ma esclusivamente l’interesse del bambino «di ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia»; tuttavia, tale interesse «non può essere considerato automaticamente prevalente rispetto a ogni altro controinteresse in gioco», in quanto ciò comporterebbe «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona». Il bilanciamento sta nel verificare la proporzionalità della compressione degli interessi del minore rispetto allo scopo legittimo di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità. Nella richiamata statuizione del 2021, la Consulta aveva sollecitato Il Legislatore ad apprestare una disciplina che dia al minore maggiori garanzie di quelle offerte dall’adozione in casi particolari, poiché «ogni soluzione che non dovesse offrire al bambino alcuna chance di un tale riconoscimento, sia pure ex post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice, strumentalizzerebbe la persona del minore in nome della pur legittima finalità di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata».
La norma repressiva della surrogazione di maternità non tutela solo la donna-madre a vivere e conservare la maternità, quale espressione irrinunciabile della propria dignità, ma tutela, con pari importanza, la dignità personale del concepito e del nato, sotto almeno due profili:
– il diritto della persona a non essere oggetto di una “pretesa ad esistere” da parte di soggetti terzi;
– il diritto alla certezza del proprio status e alla propria identità personale (Sez. Un civ., n.38162 del 30 dicembre 2022).
La pretesa del figlio a tutti i costi, ossia che “venga ad essere” è un atteggiamento ben diverso dal desiderio di genitorialità, intriso della libertà del genitore che desidera e mette in atto quei comportamenti in vista della procreazione e, ove tali atti abbiano dato frutto, accoglie il figlio, innanzitutto la sua vita fisica, il suo “corpo”, riconoscendo con il suo stesso comportamento che l’esistenza del concepito-nato non dipende, se non in parte, da sé; libertà del figlio, il cui esserci non è oggetto di una pretesa altrui. Questa reciproca relazione di libertà è quella che consente di caratterizzare il rapporto di genitorialità ed è la prima ed essenziale relazione interpersonale, nei termini del riconoscimento della totale autonomia e della totale alterità dell’altro: l’altro e il suo esserci sono accolti, non pretesi. La trasformazione della genitorialità in un diritto – peraltro a scapito del diritto degli altri: della donna-madre gestazionale e del figlio – è una forma di reificazione della persona, che ne fa un mezzo di appagamento del sé (nel caso di specie del genitore). La relazione genitoriale passa, pertanto, dalla dimensione del riconoscimento del figlio come soggetto “totalmente altro da me” alla dimensione del possesso del figlio come “prodotto” (peraltro, nel corpo di altri) per la soddisfazione di un desiderio. Non è un caso che i contratti di surrogazione prevedano clausole che consentono di scegliere alcuni caratteri somatici del figlio, secondo il gradimento dei genitori. La surrogazione di maternità, ove consentita e disciplinata, è dunque destinata, ben oltre la sfera dei rapporti delle persone direttamente coinvolte, a modificare il modo di intendere lo statuto fondamentale delle relazioni intersoggettive, su cui si fonda l’esperienza giuridica in tutte le sue manifestazioni.
Tale condotta si consuma ordinariamente in territorio estero: la coppia, infatti, conclude l’accordo con la madre biologica in una clinica estera, dove vengono eseguite anche le pratiche mediche necessarie, la gravidanza, il parto e la successiva consegna del bambino. Nel corso degli anni, i giudici italiani hanno dovuto confrontarsi con la difficoltà di sanzionare penalmente tale fenomeno, che è ordinariamente commesso all’estero, in paesi nei quali la maternità surrogata è consentita.
Il delitto commesso in parte in Italia e in parte all’estero (indifferentemente dal cittadino o dallo straniero) sarebbe punibile secondo la legge italiana, in applicazione del principio sancito dall’art.6, c.p. (secondo il quale, come rilevato, è sufficiente che si sia realizzata in Italia anche soltanto una porzione della condotta e, quindi, almeno in teoria, è sufficiente che in Italia si sia perfezionato solo l’accordo tra i genitori intenzionali e la donna disponibile alla gestazione. L’applicazione della norma penale ai casi da ultimo considerati si è rivelata, tuttavia, impervia, in ragione di un orientamento restrittivo della Cassazione, la quale ha escluso che parte dell’azione possa dirsi avvenuta in Italia a fronte di scambi di comunicazione avvenuti tra i genitori intenzionali italiani e i soggetti stranieri che praticano all’estero la surrogazione (in quanto “non può ritenersi integrata parte della condotta sul territorio dello stato a fronte di contatti intrattenuti via e-mail per valutare possibili soluzioni riproduttive, non ancora dimostrativi della decisione di ricorrere alla pratica vietata” Cass. pen., III, n.5198 del 2020).
I primi tre commi dell’art.9 c.p., prevedono che, al di fuori dei casi previsti dagli artt.7 e 8 del Codice penale, sia punito
- Il cittadino che commette all’estero un delitto per il quale la legge italiana prevede la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, a condizione che si trovi nel territorio dello Stato;
- il cittadino che, commette all’estero un delitto punito con una pena inferiore, solo a richiesta del Ministro della giustizia, ovvero a istanza o querela della persona offesa;
III. nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se il delitto è commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che la sua estradizione non sia stata conceduta, o non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto
In considerazione della pena prevista dall’art. 12, co. 6, L. n. 40 del 2004 (reclusione inferiore nel minimo a 3 anni), i reati ivi contemplati ricadono sotto la previsione (più ristretta) dell’art.9, II, c.p.; tale norma, bilanciando l’interesse dello stato ad applicare il diritto penale interno a fatti commessi dal proprio cittadino all’estero con un criterio di gravità del fatto commesso, esige la previa richiesta del Ministro della giustizia, ovvero l’istanza o la querela della persona offesa. Non entra, invece, in gioco in materia la disposizione del terzo comma dell’art.9 c.p. che, nelle ipotesi ivi contemplate (delitto commesso a danno delle comunità europee, di uno stato estero o di uno straniero), assegna al diritto penale italiano un ruolo sussidiario, prevedendo che si possa applicare la legge italiana se l’estradizione del cittadino non è stata concessa (dall’Italia allo stato estero), o non è stata accettata (dallo stato estero, ancorché offerta dall’Italia). L’art.9, III, c.p. non sia applica rispetto ai fatti puniti dall’art.12, VI, L. n.40 del 2004, poiché essi non rientrano in nessuna di queste tre categorie considerate dalla norma codicistica.
Per ovviare a tale criticità, in passato, è stata valorizzata la possibile contestazione del più grave reato di alterazione di stato (567, II, c.p., che punisce con la reclusione da tre a dieci anni “chiunque, nella formazione di un atto di nascita altera lo stato civile di un neonato mediante false certificazioni, attestazioni, altre falsità”): mediante la dichiarazione mendace, i coniugi farebbero figurare come proprio un figlio che la donna non ha partorito, la cui madre biologica è la gestante straniera, e, secondo un’impostazione non del tutto condivisa, la trascrizione da parte dell’ufficiale di stato civile italiano determinerebbe la conseguente alterazione dello stato di figlio.
La consapevolezza dei limiti posti dall’ordinamento vigente ha condotto, inizialmente, a formulare un progetto di legge (C.887), che prevedeva che fosse aggiunto al richiamato art.12 il seguente periodo: “Le pene stabilite dal presente comma si applicano anche se il fatto è commesso all’estero”. La modifica intendeva rendere la maternità surrogata un reato universale, rendendo perseguibili, nell’ordinamento giuridico italiano, anche gli stranieri che si avvalgano di tali pratiche all’estero, in ordinamenti che ne riconoscono la liceità. Questa prima proposta è stata accantonata per manifesta irragionevolezza, in un ordinamento improntato al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, l’estensione della legge penale italiana a chiunque avesse commesso il fatto all’estero si sarebbe tradotta in una disposizione che avrebbe coinvolto anche gli stranieri committenti, in paesi nei quali la pratica è lecita, così come i gestori della clinica, in ragione della disciplina del concorso di persone.
Alla luce delle richiamate considerazioni, il 27 luglio 2023 è stato approvato e trasmesso al senato (A.S. 824) un testo che non ricorre più, come si era proposto, all’introduzione di un c.d. “reato universale”, cioè di un fatto punibile da chiunque commesso in qualsiasi luogo, ma che agevola, nei termini in cui si dirà, le condizioni di applicabilità della legge penale italiana per il delitto commesso dal cittadino all’estero (lasciando invece inalterata la disciplina per il delitto commesso all’estero dallo straniero, il quale, anche se concorrente nel reato, non sarebbe comunque punibile: infatti, i casi di delitto comune dello straniero all’estero sono contemplati dall’art.10 c.p. e in nessun di questi possono essere fatti rientrare i delitti di cui all’art.12, VI, L. n.40 del 2004, sia per la previsione di pena troppo mite dell’art.12 cit., che non raggiunge il limite minimo fissato dall’art.10 c.p., sia per l’oggettività giuridica delle classi di delitti previste dallo stesso art.10 c.p., diversa da quella delle norme incriminatrici della surrogazione di maternità).
Il testo è stato approvato definitivamente il 17 ottobre del 2024, aggiungendo al sesto comma, dell’art.12 citato, il seguente periodo: “Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”. L’intervento normativo consente di espungere la surrogazione di maternità commessa dal cittadino all’estero dalla previsione dell’art.9, II., collocandola sotto l’art.7, I, n.5), c.p. in cui si prevede che sia «punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero taluno dei seguenti reati: […] 5) «ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana». La ricollocazione del delitto di surrogazione commesso dall’italiano all’estero sotto l’art.7, I, n.5), c.p., evita l’esigenza di procedere tramite richiesta del ministro della giustizia. Inoltre, ricollocandosi la fattispecie sotto l’art.7 c.p., non sarebbe più necessaria la presenza del cittadino sul territorio dello Stato, come invece richiede l’art.9 c.p.
La modifica normativa è stata criticata nella parte in cui assimila il delitto di maternità surrogata alla disciplina dell’art.7 c.p., retto dal principio di universalità, con l’unico limite della contrazione dell’applicazione della legge penale italiana ai soli fatti commessi dal cittadino italiano (principio della personalità attiva). Si tratta di fattispecie per le quali la deroga al principio di territorialità ha alla base diverse rationes: rispondono al principio della difesa, analogamente alle fattispecie di cui all’art.7, nn.1 a 4 c.p., il rialzo e ribasso fraudolento sul pubblico mercato o nelle borse di commercio, se commesso all’estero in danno della valuta nazionale o di titoli pubblici italiani (501 c.p.) e la frode in assicurazione commessa a danno di un assicuratore italiano che esercita la sua attività nel territorio dello Stato (642 c.p.).; sono invece connotate da un generalizzato disvalore riconosciuto nella comunità internazionale i delitti di tratta di donne e minori (537 c.p.), nonché i delitti di violenza sessuale e i delitti contro la personalità individuale, che includono le fattispecie, di schiavitù, tratta, pedopornografia (604 c.p.), tutte fattispecie perseguibili anche se il fatto è commesso all’estero da un cittadino italiano.
La maternità surrogata non è riconducibile a nessuna delle due tipologie di fattispecie: non alla prima, in quanto non sono lesi interessi riferibili direttamente allo Stato italiano; non alla seconda che include fattispecie che sono caratterizzate da un trattamento sanzionatorio grave che trova ampio riscontro nella disciplina dei diversi sistemi penali. Al contrario, per il delitto di surrogazione di maternità è prevista una pena detentiva “bagatellare”, in quanto la reclusione da tre mesi a due anni, colloca la fattispecie entro la fascia dei reati ai quali si applicano istituti deflattivi (la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, la sospensione del processo con messa alla prova, la sospensione condizionale della pena detentiva). È, invece, draconiana la pena pecuniaria (da euro seicentomila a euro un milione), nella quale il minimo della pena è ben dodici volte superiore al valore massimo che può avere la pena della multa, per disposto generale (24 c.p.): è una deroga che si giustifica nei reati espressivi della criminalità del profitto, più che di un delitto posto a tutela di interessi della persona (PELLISSERO).
La norma sarà chiamata a superare il vaglio di ragionevolezza in un probabile giudizio di legittimità costituzionale.
Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Zincani, Il turismo procreativo non è un reato universale, in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 10