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Processo Regeni: l’ordinanza con cui la Corte di Assise di Roma si è pronunciata sulla acquisizione, ex art. 512-bis c.p.p., delle dichiarazioni rese da testimoni residenti all’estero e sulla scelta di non testimoniare per il timore di ritorsioni da parte delle autorità egiziane

Corte di Assise di Roma, Sez. I, Ordinanza, 12 dicembre 2024
Presidente dott.ssa Paola Roja, Giudice dott.ssa Paola Della Vecchia

Segnaliamo ai lettori, con riferimento al processo Regeni, l’ordinanza con cui la Corte di Assise di Roma si è pronunciata sul rapporto tra gli istituti di cui agli artt. 512 (lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione) e 512-bis c.p.p. (lettura di dichiarazioni rese da persona residente all’estero) con specifico riferimento, tra gli altri temi, al caso di testimoni che, «dopo aver avuto notizia della citazione tramite posta elettronica, hanno inviato comunicazioni per informare dell’impossibilità a testimoniare a causa di fondati timori per la sicurezza personale, derivanti dalla repressione del regime egiziano».

Sotto tale profilo – si legge nell’ordinanza – «non potendosi configurare una reale irreperibilità, quanto meno di fatto, né effettiva irripetibilità delle dichiarazioni, trattasi di accertare se l’assenza dei testimoni sia stata determinata da una libera scelta o, al contrario, dovuta ad un reale pericolo dichiarato per l’incolumità personale, laddove entrambi hanno comunicato la loro impossibilità a comparire dovuta alla necessità di tutelare sé stessi ed i propri familiari da future prevedibili ritorsioni da parte delle autorità egiziane».

In altri termini, «i due testimoni – in qualche modo raggiunti dalla convocazione – asserendo rischi personali, hanno, di fatto, negato la loro assunzione in contraddittorio, dopo avere reso dichiarazioni in fase di indagini alla Procura di Roma: si pone, pertanto, il tema della sussistenza di un’eventuale “irripetibilità di comodo” di tipo soggettivo, dipendente dalla volontà del teste di non realizzare il contraddittorio, incompatibile con la più volte richiamata necessità di un’impossibilità di ripetizione delle dichiarazioni di tipo assoluto ed oggettivo, da valutarsi restrittivamente e rigorosamente quanto agli elementi previsti ed ai quali è condizionata l’applicazione».

I giudici, dopo aver richiamato l’orientamento giurisprudenziale che valorizza, ai fini della non utilizzabilità delle dichiarazioni, il fatto che la mancata presenza del testimone debba essere «riconducibile ad una sua libera scelta e, cioè, ad una scelta non coartata da elementi esterni», hanno evidenziato come «nessuno dei due testimoni abbia addotto quale motivo giustificante indicazioni generiche o mere circostanze di ordine pratico, quali la constatazione di difficoltà logistiche, di spese elevate, di intralci burocratici – oggettivamente ovviabili e superabili e tali da non impedire di per sé in assoluto la ripetizione della prova – bensì entrambi una situazione di coazione psicologica, foriera di rischio personale e familiare».

Sotto questo profilo – continua la Corte di Assise – «numerosi sono i fatti obiettivi che documentano come la situazione dei diritti civili in Egitto sia ampiamente compromessa: si fa rinvio alle plurime fonti internazionali citate e documentate dalla parte civile, di cui si ricordano i rapporti delle ONG “Freedom House” del 2024, “Amnesty International” del 2024, “Human Rights Watch” del 2024, l”Unione delle Camere Penali – Difendere i Diritti Umani in Egitto”, Rapporto per l’anno 2017, i documenti presenti sul sito AfricaRivista, tutti allegati ed ampiamente illustrati e circostanziati».

Secondo il Tribunale di Roma, «le fonti, pur da prospettive diverse e con fonti differenziate, concordano nella conclusione che il Paese egiziano è connotato da significative violazioni dei diritti umani sulla base di segnalazioni credibili, che si traducono in esecuzioni arbitrarie o illegali, comprese esecuzioni stragiudiziali, sparizioni forzate, tortura o trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti da parte del Governo, condizioni carcerarie dure e pericolose per la vita; arresti e detenzioni arbitrarie ….motivate politicamente ovvero in relazione al diritto alla vita si assume che l’Egitto è uno dei Paesi nei quali si pratica la pena di morte e nel quale il numero delle esecuzioni è tra i più alti: si fa rinvio per i dettagli e particolari alla documentazione offerta sul punto, con direzione privilegiata nei confronti della dissidenza, in virtù di una definizione della nozione interna di “terrorismo” estremamente vaga, combinata con il riconoscimento alle forze dell’ordine di ampi poteri ed immunità dall’applicazione delle leggi».

Questo stesso processo – si legge nella decisione – «anche al di là della stretta vicenda investigata e della sorte di Giulio Regeni, ha già offerto riscontri significativi su pratiche egiziane di sparizioni forzate improvvise e di condizioni di detenzione, anche per fatti che nel nostro ordinamento sarebbero frutto di normale espressione del pensiero, assai distanti dai principi consolidati di garanzia, libertà e del rispetto del diritto di difesa, oltreché della soggezione delle forze di polizia a controlli esterni indipendenti».

Ad avviso dei giudici, «se tali sono i compatti, attuali e precisi giudizi internazionali sulla situazione della libertà di pensiero e sulla dissidenza politica egiziane – espressi in forma assolutamente unanime da ONG di livello primario, da Governi internazionali, da Autorità giurisdizionali di massimo livello e, persino, dagli organi tecnici del Governo italiano – è evidente che i timori personali manifestati dai due testimoni sono tutt’altro che privi di determinatezza, obiettività e significatività, tanto più laddove la loro testimonianza può avere ad oggetto circostanze inerenti l’attività di membri di organi statali egiziani ovvero di appartenenti agli apparati di sicurezza locali».

Sussistono – conclude l’ordinanza – «alla luce del contesto ambientale di provenienza e di vita attuale, quelle situazioni di “timori per le propria incolumità per altre vicende personali”, valorizzate dalle Sezioni Unite quale causa anomala e atipica di impossibilità dell’esame in contraddittorio del testimone residente all’estero, che vanno ben al di là di un generico timore reverenziale verso gli imputati e che trovano fondamento in un sistematico uso di atti di violenza per reprimere il dissenso politico che attualmente connota la Repubblica Araba d’Egitto e che, a prescindere dalle responsabilità individuali del tutto eventuali dell’uno o dell’altro degli odierni imputati, quali esponenti di quell’ordinamento, ben potrebbe essere usato a protezione degli stessi, impregiudicata la sua necessità. In ogni caso trattasi di condizione oggettiva di ostacolo alla libera, incondizionata e serena assunzione della prova dichiarativa e di non compromissione della genuinità dell’esame, costituente la ratio sottesa, insieme al consenso, ad ogni consentita deroga costituzionale alla pratica della prova orale in contraddittorio».

Ne consegue «l’acquisizione mediante lettura delle sommarie informazioni già raccolte in occasione delle indagini preliminari anche presso i due testimoni in discorso, tenuto conto dei restanti elementi acquisiti al processo».

Redazione Giurisprudenza Penale

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