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Depositata la sentenza della Corte costituzionale (n. 203/2024) sulla convalida del foglio di via del questore

Corte costituzionale, 17 dicembre 2024, sentenza n. 203
Presidente Barbera, Relatore Viganò

Segnaliamo ai lettori, in tema di convalida del foglio di via, il deposito della sentenza con cui la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale – sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto – dell’art. 2 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136) in ragione dell’attribuzione all’autorità di pubblica sicurezza – e in particolare al questore –, anziché all’autorità giudiziaria, della competenza a disporre la misura di prevenzione del foglio di via obbligatorio.


Pubblichiamo, di seguito, il comunicato stampa:

Il foglio di via del questore non richiede la convalida da parte del giudice
La misura di prevenzione del foglio di via, disposta dal questore nei confronti di persone pericolose per la sicurezza pubblica, non restringe la libertà personale dell’interessato, ma semplicemente limita la sua libertà di circolazione. Pertanto, essa non richiede l’intervento di un giudice, come prescritto invece dall’articolo 13 della Costituzione per ogni misura restrittiva della libertà personale. Spetterà poi al giudice amministrativo e al giudice penale verificarne la legittimità e proporzionalità nel singolo caso concreto, rispettivamente quando l’interessato proponga ricorso contro il provvedimento del questore, o sia imputato in sede penale per la violazione degli obblighi stabiliti nel provvedimento.
Lo ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza numero 203, depositata oggi, con la quale sono state dichiarate non fondate le questioni sollevate dal Tribunale di Taranto sull’articolo 2 del codice antimafia.
Nel caso in esame, un uomo era stato rinviato a giudizio per avere fatto più volte ritorno nel Comune di Taranto, dal quale era stato allontanato mediante foglio di via, motivato dal questore sulla base della sua pericolosità sociale. Prima di pronunciarsi sulla responsabilità penale dell’imputato per la violazione delle prescrizioni imposte con la misura, il giudice si è però interrogato sulla legittimità costituzionale dell’articolo 2 del codice antimafia, che attribuisce al questore il potere di disporre la misura senza prevedere la sua necessaria convalida da parte di un giudice.
La Corte costituzionale ha anzitutto ricordato che una restrizione della libertà personale si verifica quando la persona subisce una coazione nel proprio corpo, come nel caso di arresto o di detenzione, o ancora nel caso di un trattamento medico coattivo. Si ha, inoltre, restrizione della libertà personale quando il soggetto venga sottoposto a misure che presuppongano un giudizio di “degradazione giuridica” e impongano obblighi di intensità tale da poter essere equiparati all’assoggettamento della persona all’altrui potere.
In numerose decisioni a partire dal 1956, la Corte ha ritenuto che quest’ultima situazione si verifichi in conseguenza di misure di prevenzione che impongano all’interessato obblighi di rimanere in un luogo determinato (come, ad esempio, l’obbligo di stare casa durante le ore notturne), ovvero di recarsi periodicamente presso un ufficio di polizia (ad esempio durante l’orario di svolgimento di manifestazioni sportive dalle quali l’interessato sia stato interdetto). Viceversa, la Corte ha sinora sempre escluso che il semplice divieto di recarsi in un luogo determinato ponga in causa le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione. In questo caso, infatti, la persona resta libera di andare in qualsiasi altro luogo desideri, tranne quello dal quale è interdetta.
Con la sentenza depositata oggi, la Corte ha ritenuto di dover confermare la propria costante giurisprudenza, alla quale del resto il legislatore si è da tempo orientato nel configurare la disciplina delle misure di prevenzione e dei cosiddetti “DASPO”. E ciò nella consapevolezza che il tendenziale rispetto dei propri precedenti è una delle condizioni essenziali per l’autorevolezza delle decisioni di ogni giurisdizione superiore, compresa la Corte costituzionale.
Peraltro, la Corte ha sottolineato che – come osservato dal Tribunale di Taranto – gli effetti del foglio di via possono risultare assai gravosi per il destinatario, ad esempio quando gli venga vietato l’ingresso nell’intero capoluogo di provincia nella quale risiede.
Tuttavia, la Corte ha sottolineato come l’ordinamento italiano disponga di strumenti efficaci per garantire una tutela effettiva ai diritti fondamentali del destinatario contro i pericoli di uso arbitrario di queste misure, ad esempio quale strumento di repressione del dissenso politico e delle legittime forme di protesta protette dalla Costituzione.
Da un lato, il ricorso al giudice amministrativo è certamente idoneo ad assicurare – anche grazie ai provvedimenti cautelari che possono essere adottati in caso di urgenza – una tutela immediata ed effettiva contro eventuali provvedimenti lesivi dei diritti fondamentali dell’interessato.
Dall’altro, lo stesso giudice penale, nei procedimenti per violazione degli obblighi inerenti a una misura di prevenzione, ha il dovere di verificarne preliminarmente la legittimità.
La verifica di legittimità compiuta dall’uno e dall’altro giudice, infine, comprende necessariamente anche una valutazione di proporzionalità tra le finalità di tutela perseguite dall’autorità di polizia e la concreta incidenza della singola misura sulla libertà di circolazione dell’interessato, nonché sull’intera gamma dei suoi diritti fondamentali comunque incisi dal provvedimento (compresi i diritti al lavoro, alla salute, alla vita privata e familiare).
Roma, 17 dicembre 2024 

Redazione Giurisprudenza Penale

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