Presentata una proposta di legge in tema di ricettazione e ricezione di compensi per attività professionali
Segnaliamo ai lettori la proposta di legge n. 1966 in tema di “modifica all’articolo 648 del codice penale, in materia di ricettazione, in relazione alla ricezione di compensi per attività professionali svolte“.
La proposta punta a introdurre nell’art. 648 c.p. il seguente comma: «Fuori dei casi di concorso nel reato, il professionista che riceve pagamenti in denaro quale compenso per l’attività professionale svolta non è tenuto a effettuare controlli o verifiche sulla provenienza del denaro medesimo».
Come si legge nel documento, la proposta trova origine nella vicenda – di cui si è molto discusso nei mesi scorsi (e di cui questa Rivista ha pubblicato l’ordinanza del GIP del Tribunale di Milano) – in cui veniva contestato il delitto di ricettazione aggravata nei confronti di due avvocati penalisti indagati e destinatari di una richiesta di applicazione della misura interdittiva della sospensione dall’attività professionale, ex art. 290 c.p.p., per aver ricevuto, sotto forma di compenso per prestazioni professionali, denaro contante di (ritenuta) provenienza illecita.
È evidente – si legge nella proposta – “come l’imputazione di ricettazione in relazione ai pagamenti ricevuti dai difensori da parte dei loro assistiti rischi di interferire con la serenità del rapporto difensivo (intesa come libertà dell’assistito di confidare particolari contra se e del difensore di ricevere tali confidenze) e di creare conflitti di interessi tra difensore e assistito, costringendo il primo a scegliere tra la rinuncia al mandato e il compenso e, in ultima istanza, interferendo con il diritto costituzionale di difesa“.
La presente proposta di legge – prosegue il documento – “intende dunque chiarire che il difensore, quando riceve il pagamento di una somma di denaro per le prestazioni professionali rese, non è tenuto a fare indagini sulle fonti di reddito del proprio assistito. Ma la nuova norma si vuole porre come strumento di tutela non solo dell’avvocato, bensì di tutti i professionisti che, altrimenti, si troverebbero costretti a indagare sull’origine del denaro ricevuto a fronte della prestazione professionale resa. Non avendo intenzione di creare sacche d’impunità, l’esenzione dall’accertamento della provenienza lecita del compenso può essere invocata soltanto quando non si configura un concorso nel reato“.