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Sull’applicabilità della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62 n.4 c.p.) ai reati tributari

Cassazione Penale, Sezione III, 24 febbraio 2014 (ud. 16 luglio 2013), n. 8677
Presidente Squassoni, Relatore Grillo, P. G. Salzano (concl. conf.)

Massima

In tema di reati tributari è stata ripetutamente esclusa l’applicabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità non trattandosi di illeciti che offendono il patrimonio. La ratio di tale inapplicabilità si fa risiedere nella particolare oggettività giuridica del reato tributario che non lede il patrimonio dello Stato bensì l’interesse pubblico, di rango costituzionale, all’osservanza dell’obbligo dei cittadini di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Il commento

1. Con la pronuncia in annotazione la terza sezione penale è tornata a prendere posizione in merito al tema – già più volte affrontato – della concedibilità della attenuante comune di cui all’art. 62 c.p. n. 4 (l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità) all’imputato che sia chiamato a rispondere di reati tributati (nella vicenda in esame il ricorrente era imputato del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, commi 1 e 3 – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).

2. Nel dichiarare non fondato il motivo di ricorso i giudici di legittimità hanno preso le mosse richiamando il consolidato indirizzo della terza sezione che ha ripetutamente escluso l’applicabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità nell’ambito dei reati tributari, non trattandosi di illeciti che offendono il patrimonio.
La ragione della inapplicabilità – puntualizzano i giudici – si fa risiedere nella particolare oggettività giuridica del reato tributario che lede non già il patrimonio dello Stato, ma l’interesse pubblico, di rango costituzionale, all’osservanza dell’obbligo dei cittadini di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva: da qui l’infondatezza della attenuazione della pena in relazione alla entità, più o meno lieve del danno che si pretenderebbe arrecato all’Erario; non mancano, tuttavia, affermazioni di portata più generale in forza delle quali essa troverebbe applicazione per ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, a condizione che la speciale tenuità riguardi congiuntamente l’entità del lucro (conseguendo o conseguito) e dell’evento dannoso o pericoloso (in questi termini Sez. V, n. 43342 del 19 ottobre 2005 secondo cui “a seguito della nuova formulazione dell’art. 62 n. 4 cod. pen., recata dall’art. 2, L. 7 febbraio 1990, n. 19, la circostanza attenuante del danno economico di speciale tenuità è applicabile ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, purché la speciale tenuità riguardi congiuntamente l’entità del lucro (conseguendo o conseguito) e dell’evento dannoso o pericoloso (fattispecie relativa a delitto di falso nummario”).
Tra i precedenti in senso conforme i giudici richiamano anche la giurisprudenza in tema di reati di contrabbando doganale: su tutte si veda Sez. III, n. 34912 del 16 giugno 2004 secondo cui “l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62 c.p., comma primo, n. 4), non può trovare applicazione nel caso dei reati di contrabbando, in cui l’interesse protetto non è il patrimonio dello Stato ma il suo diritto sovrano alla imposizione e riscossione dei tributi.

3. Dopo aver fatto il punto della situazione i giudici si lasciano andare a qualche considerazione sull’attuale stato della disciplina così come modificata nel 2011.
Rebus sic stantibus – afferma la Corte – gli approdi della giurisprudenza di legittimità sono nel senso della inapplicabilità a tutti indistintamente i reati tributari, anche se si deve osservare che il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, ante riforma del 2011 prevedeva nel terzo comma una attenuante speciale collegata alla minore entità del tributo.
Le nuove disposizioni introdotte dalla L. n. 149 del 2011 – segno di una tendenza da parte del legislatore fiscale al rigore punitivo per le violazioni di tipo finanziario – hanno poi eliminato tali forme di attenuanti legate alla entità della somma evasa, con ciò lasciando intendere il legislatore che la vera tutela da apprestare non è tanto quella di salvaguardare il patrimonio dello Stato, quanto l’obbligo indifferenziato per i contribuenti di concorrere alle spese attraverso condotte virtuose di versamento delle imposte dovute.
Non è tuttavia da escludere, de jure condendo, una rivisitazione di tale tendenza rigoristica, attraverso l’introduzione di specifiche attenuanti legate anche alla entità economica della violazione.