Il delitto d’usura (Tesi di laurea)
Prof. Relatore: Roberto Rampioni
Ateneo: Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Anno accademico: 2011/2012
La riforma del delitto d’usura avvenuta con la legge 108 del 7 Marzo 1996 ha totalmente riscritto la condotta usuraia, allontanandola completamente da quella che era la concezione classica del fenomeno, non relegando più il fenomeno dell’usura al campo della criminalità organizzata, ma espandendolo in tutto il mondo economico, basti considerare gli effetti che la formulazione dell’Art. 644 c.p. ha nel mondo bancario.
Questo contributo contiene un rapido excursus storico, analizzando come era visto il comportamento usurario nelle varie epoche. Questo ci permette, come si potrà leggere nelle pagine dedicate, di dedurre che il prestito ad interesse c’è sempre stato nella società, ma solo in periodi di crisi economica, o quando venivano a mancare le fonti da cui poter ricevere liquidità, il legislatore a vario modo decide di punire chi pratica l’usura. Emblematico è l’esempio del Regno delle due Sicilie dove non era prevista alcuna fattispecie d’usura. Infatti, il Banco delle due Sicilie (Banco di Napoli), uno degl’istituti di credito più floridi dell’Italia preunitaria, concedeva facilmente denaro in prestito, evitando così che il semplice cittadino si rivolgesse all’usuraio.
Altro aspetto che si è analizzato riguarda il modo in cui tale delitto era previsto e punito. A seconda delle concezioni filosofiche o dottrinali che circolavano nella società si decideva se punire o meno la condotta usuraria. Se la dottrina era fortemente liberale, il reato d’usura non era previsto. In caso di dottrine più “eticizzanti” e “moralizzatrici” il reato era previsto e punito dai codici. Sempre in questo secondo caso, cambiavano i modi di tipizzare la fattispecie. Si passava da leggi che prevedevano soglie limite per la richiesta d’interessi, ad esempio il Codice Penale Sardo, a Codici i quali tipizzavano il reato d’usura concentrandosi prevalentemente sulle modalità di condotta dell’agente e sulla condizione di disagio del soggetto passivo.
Per quanto riguarda l’esperienza italiana, il reato d’usura non essendo previsto dal codice Zanardelli, ispirato per l’appunto ad una concezione più liberale, fu reintrodotto nel Codice Rocco del 1930. L’introduzione voluta dal legislatore del ’30, la quale era chiaramente ispirata ad una logica moralizzatrice ed eticizzante, basava la condotta tipica sulla situazione di debolezza del “povero sventurato” che, privo delle risorse economiche necessarie per far fronte alle normali esigenze quotidiane, era costretto a rivolgersi all’usuraio. Veniva così delineata la più classica delle figure d’usura e dell’usuraio. Successivamente, viste le difficoltà probatorie nell’accertamento di requisiti tanto sfuggenti ed indeterminati della fattispecie, il legislatore italiano vi apporta una prima modifica con la legge 356/1992. Nel tentativo di alleggerire il quantum probatorio e riuscire a punire i comportamenti usurai si introduce la nuova fattispecie d’usura impropria ex Art. 644 bis c.p. Questa fattispecie nasceva sulla base della precedente, prendendone tutti i difetti. Ad esempio non si era risolto il nodo sulla definizione tautologica di interessi usurai. La riforma del 1992 aveva anche aspetti positivi, almeno in teoria, poiché abbassava il quantum probatorio; infatti non si richiedeva più la dimostrazione dell’approfittamento dello stato di bisogno, ma la prova dell’approfittamento di una situazione di disagio meno pressante in cui versava l’imprenditore o il professionista: “difficoltà economiche o finanziarie”. L’introduzione di questa nuova fattispecie è la dimostrazione che il legislatore comincia a prendere coscienza del fatto che il fenomeno usuraio ha delle forti ripercussioni nel mondo dell’economia lecita, dove la criminalità organizzata cerca di fare il suo ingresso.
Sempre nell’ottica di un più facile accertamento probatorio, il legislatore decide di intervenire nuovamente sul reato d’usura nel 1996. Con la legge 108/1996 si abolisce il reato d’usura impropria, ma soprattutto si riscrive la fattispecie classica dell’usura, con la normale conseguenza di tratteggiare una nuova figura dell’usuraio.
Al di là dei commenti e definizioni dati alla legge, per quel che interessa il giurista, il nuovo articolo 644 c.p. utilizza lo strumento della norma parzialmente in bianco per disciplinare le due forme d’usura che potremmo definire complementari tra loro. La prima è l’usura presunta ispirata alla legislazione d’oltralpe ed incentrata sul superamento di un valore numerico detto tasso soglia, il quale viene trimestralmente aggiornato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze; la seconda forma d’usura è chiamata usura in concreto, voluta dal legislatore per evitare vuoti di tutela ed incentrata su diversi parametri (sproporzione tra le prestazioni; concrete modalità del fatto; tasso medio praticato per operazioni similari; difficoltà economiche o finanziarie del soggetto passivo). Se è vero che la nuova disposizione ha reso più facile l’accertamento processuale, almeno in teoria, bisogna considerare che si è in tal modo costruita una fattispecie d’usura “altalenante”. Infatti, essendo il nucleo centrale basato sul tasso soglia, ed essendo quest’ultimo aggiornato con cadenza trimestrale, non si ha una chiara e stabile definizione d’usurarietà, ma il comportamento sarà definibile tale solo in relazione ad un particolare trimestre. Tutto ciò ha portato al problema della possibilità di punire o meno l’usura sopravvenuta, risolto dal legislatore con l’emanazione della legge n. 24/2001 rubricata “Interpretazione autentica della legge 108 del 7 Marzo 1996, recante disposizioni in materia d’usura”. Nonostante il cambiamento di prospettiva nella definizione d’usurarietà (dall’approfittamento di una particolare condizione di disagio dell’usurato, al superamento di un tasso soglia) un dato è rimasto costante: il bene giuridico protetto dalla norma. Seppur tra varie interpretazioni, tutte valide e stimolanti, il bene giuridico tutelato è rimasto pur sempre il patrimonio del soggetto passivo: la vera vittima dell’usura, essendo colui che vede il suo patrimonio depauperarsi in misura superiore al consentito a seguito di una data operazione finanziaria.
Continuando nell’ottica di prevenzione del fenomeno, protezione delle vittime, nonché per stimolare gli usurati alla denuncia, sono stati previsti mezzi di aiuto riservati a chi è vittima del reato, o a chi rischia di cadere nella spirale degli usurai per mancanza di possibilità di accesso al mercato legale del credito. Oltre alle due forme d’usura il legislatore, sempre nell’Art. 644 c.p., prevede la fattispecie di mediazione usuraria, senza però dare una stabile e chiara definizione dell’usurarietà del compenso la quale, come posto in luce dalla dottrina, dovrà dedursi sfruttando i parametri validi per la definizione d’interesse usuraio nei casi d’usura in concreto. Tutto ciò con la naturale conseguenza che la fattispecie di mediazione usuraria seguirà la stessa sorte dell’usura ex Art. 644 comma 3 seconda parte cioè la scarsissima applicazione nella realtà. La tesi non trascura quanto la riforma del 1996 ha stabilito in campo civilistico prevedendo la modifica dell’Art. 1815 comma 2 c.c. e quindi la trasformazione dei contratti di mutuo da oneroso in gratuito nel caso di pattuizioni usuarie. Da ciò sorge l’interrogativo sulla natura della sanzione in esso prevista, ma anche su quale doveva essere la sorte dei contratti stipulati in epoca anteriore al 7 Marzo 1996, nonché a quelli stipulati vigente una determinata rilevazione del tasso soglia. In tal modo anche in ambito civilistico è sorto il problema dell’usura sopravvenuta.