La funzione rieducativa della pena e la difficile alternativa tra punizione e trattamento per i serial killer (Tesi di laurea)
Prof. Relatore: Vito Mormando
Ateneo: Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Anno accademico: 2010/2011
La ricerca analizza il mutato quadro delle politiche sociali, penali e penitenziarie avvenuto nello scenario italiano degli ultimi decenni a seguito delle trasformazioni registratesi nelle società tardo moderne. Le istituzioni penali all’interno di un preciso sistema legale perseguono una molteplicità di obiettivi che, in un determinato momento, possono convivere e intrecciarsi, mentre in un altro momento storico possono vedere la prevalenza di uno di questi.
Il fulcro del presente lavoro è caratterizzato dal dettato costituzionale, secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato (art. 27 III Cost.): ed è proprio al fine di perseguire la finalità rieducativa, spesso indicata anche come risocializzazione del condannato, che il sistema sanzionatorio, soprattutto nella fase esecutiva, diventa flessibile, ponendo al centro dell’ attenzione, la personalità del reo. La pena si presenta, in termini operativi, come scomposta in tre momenti: essa “costituisce, in primo luogo, il contenuto di una minaccia (che si traduce in una comminatoria edittale); è oggetto, in secondo luogo, di una inflizione (determinazione, concretizzazione giudiziale); è oggetto, infine, di una esecuzione. Queste fasi esprimono compiutamente la dinamica della pena e lo studio delle tesi di segno opposto sulle due funzioni principali della pena, quali rieducazione e riabilitazione, vuol rappresentare una grande premessa per rispondere ad un quesito che vede risposte altamente dibattute e agli antipodi in merito alla rieducazione di una figura molto particolare e complessa: il serial killer. Pertanto, la domanda fondamentale che si propone questo lavoro è: quale collegamento esiste fra gli orrori commessi da un serial killer e la follia che sembrerebbe esprimersi da una condotta così perversa e distruttiva? Possono persone che si macchiano di crimini così atroci, al di là di ogni comprensione, essere considerati “normali” e come tali assoggettabili ad un trattamento riabilitativo?
Nelle pagine che seguono, innanzitutto, si cercherà di analizzare il concetto di pena come esso si è sviluppato nel dibattito filosofico e penalistico, oltre che nella storia, con riferimento alle finalità che essa deve svolgere. Particolare attenzione sarà dedicata alla finalità rieducativa, che generalmente si fa rientrare nell’ideologia specialpreventiva della pena, considerando che sullo sfondo del dibattito dottrinale, durante i lavori preparatori, in merito alle funzioni della pena rimane la contrapposizione tra pena giusta e pena utile. Infatti, il dibattito è stato molto acceso, poiché vedeva gli orientamenti più disparati, tra chi sosteneva la finalità intimidativa della pena, chi la preventiva e chi ancora la rieducativa. Fin dalle origini del diritto penale moderno, con pena utile si indica la pena in astratto, tendente a fini utilitaristici di prevenzione, mentre la pena giusta corrisponde alla pena meritata per il fatto, corrispondente dunque, quanto alla sua afflittività, al disvalore del reato.
La questione della prevalenza di una ideologia della pena sull’altra è quanto mai attuale. Se infatti da un lato vi è chi sostiene che il diritto penale può giustificarsi solo in quanto utile, dall’altro si fanno sentire le voci secondo le quali è inappropriato che esso si ponga dei fini altri rispetto alla mera retribuzione del reato. Dopo questo primo accenno alle storiche origini delle due principali funzioni della pena, si procederà con l’ analisi dei programmi trattamentali, quali la diversion, la parole e la probation, con le loro conseguenti critiche da parte dei fautori della Nuova Retribuzione, quando agli inizi degli anni settanta, l’ idea rieducativa conosceva una sorta di tracollo, tanto che in dottrina si è parlato di declino dell’ ideale riabilitativo, ma, nonostante tutto, non sono mancati autori che hanno continuato e continuano, ad oggi, a perseverare nella rieducazione e nei suoi buoni esiti, non considerandola solo, per certi aspetti e rei, una pura utopia.
E’ proprio da questi due filoni, dottrinale e giurisprudenziale, che si prosegue con il caso di specie, in merito alla particolare complessità e delicatezza della rieducazione dei serial killer, cercando quindi di dare una risposta al quesito che il lavoro di ricerca si propone. Un’ analisi della diagnosi e del trattamento del serial killer porterà a prendere concretamente in considerazione l’ ipotesi di non escludere del tutto un’ efficacia positiva della riabilitazione o rieducazione di tale soggetto; efficacia che potrebbe essere positiva per talune tipologie di serial killer, ma non per altre.