ARTICOLICONTRIBUTIDIRITTO PENALEIN PRIMO PIANO

Falso in bilancio e rilevanza delle valutazioni: depositate le motivazioni della sentenza Crespi 33774/2015

cassazione

Cassazione Penale, Sez. V, 30 luglio 2015 (ud. 12 giugno 2015), n. 33774
Presidente Lombardi, Relatore Miccoli

Segnaliamo il deposito delle motivazioni della sentenza Crespi che, come è noto, ha affrontato il dibattuto tema delle conseguenze della legge 69/2015 che, in tema di false comunicazioni sociali, ha fatto venir meno il riferimento alle cd. valutazioni.

Come riportato da pressoché tutte le testate giornalistiche (v. l’articolo del Corriere della Sera “La Cassazione e la nuova legge, il falso in bilancio più debole“), infatti, lo scorso 12 giugno la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna per bancarotta a carico di Luigi Crespi “perché i fatti non sono più previsti dalla legge come reato” ritenendo, cioè, che a seguito dell’eliminazione dell’inciso «ancorché oggetto di valutazioni» dagli artt. 2621 e 2622 c.c., i segmenti di bancarotta riconducibili ai falsi in bilancio derivanti da valutazioni non debbano essere più ricompresi nella fattispecie.

Ricordiamo, infatti, che l’attuale versione dell’art. 2621 c.c. (false comunicazioni sociali) recita:

Fuori dai casi previsti dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.

Ieri sono state depositate le motivazioni della Corte di Cassazione.

Sui falsi in bilancio derivanti da valutazioni – osserva la Cassazione – «è del tutto evidente che l’adozione dello stesso riferimento ai fatti materiali non rispondenti al vero, senza alcun richiamo alle valutazioni e il dispiegamento della formula citata anche nell’ambito della descrizione della condotta omissiva consente di ritenere ridotto l’ambito di operatività delle due nuove fattispecie di false comunicazioni sociali, con esclusione dei cosiddetti falsi valutativi».

«Tanto più che i testi riformati degli artt. 2621 e 2622 c.c. si inseriscono in un contesto normativo che vede ancora un esplicito riferimento alle valutazioni nell’art. 2638 c.c. (Ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza), peraltro proprio a precisazione contenutistica della stessa locuzione “fatti materiali non rispondenti al vero”». «Una lettura ancorata al canone interpretativo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, non può trascurare la circostanza dell’inserimento di modifiche normative in un sistema che riguarda la rilevanza penale delle attività societarie con una non giustificata differenziazione dell’estensione della condotta tipizzata in paralleli ambiti operativi, quali sono appunto quelli degli artt. 2621 e 2622 c.c. da una parte e art. 2638 c.c. dall’altro; norme che, sebbene tutelino beni giuridici diversi, sono destinate a sanzionare la frode nell’adempimento dei doveri informativi».

«Quindi – prosegue la Corte – il dato testuale e il confronto con la previgente formulazione degli artt. 2621 e 2622 c.c, come si è visto in una disarmonia con il diritto penale tributario e con l’art. 2638 c.c., sono elementi indicativi della reale volontà legislativa di far venir meno la punibilità dei falsi valutativi, ancorchè si sia sostenuto, nei primi commenti dottrinali alla novella, come non possa del tutto escludersi che l’eliminazione di qualsiasi espresso riferimento a questi ultimi dia da imputarsi alla ritenuta superfluità di una loro evocazione; tuttavia, appare legittima l’interpretazione che esclude la rilevanza penale ai fatti derivanti da procedimento valutativo».

«Tale opzione – avverte la Corte – richiede la verifica di quali siano, alla luce dei criteri di successione delle leggi penali, gli ambiti applicativi della nuova fattispecie di reato delle false comunicazioni sociali, ove si consideri che la maggior parte delle poste in bilancio altro non è se non l’esito di procedimenti valutativi e, quindi, non può essere in alcun modo ricondotta nell’alveo dei soli fatti materiali, come previsti dalla normativa introdotta dalla legge 69/2015».