ARTICOLICONTRIBUTIDelitti contro la personaDIRITTO PENALEParte speciale

Principio di autoresponsabilità del lavoratore: quando esclude la responsabilità del datore?

Cassazione penale, sez. IV, 7 settembre 2015 (ud. 17 giugno 2015), n. 36040
Presidente Romis, Relatore D’Isa

Le Massime
1. L’obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell’infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza.
2. Nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o dall’inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale viene attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento.

Il Commento
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Cassazione conferma i precedenti giurisprudenziali in ordine alle conseguenze che il comportamento colposo del lavoratore, rivelatosi per quest’ultimo dannoso, può esplicare sulla responsabilità datoriale.
Il caso di specie, su cui la Corte di legittimità appunta la propria attenzione, può essere puntualmente ricostruito riportando pedissequamente le parole del relatore (cfr. Ritenuto in fatto, paragrafo 1): “Il B., quale datore di lavoro, è stato ritenuto responsabile del delitto contestato, per aver consentito, in violazione della disposizione di cui all’art. 52 d.P.R. 164/1956, che A.L. e S.M. allestissero un trabattello alto circa sette metri e vi salissero al di sopra per eseguire lavori di montaggio di pannelli insonorizzanti sulla parete di un edificio, senza che la struttura fosse ancorata alla parete, in mancanza di un idoneo dispositivo antiribaltamento, e montata in modo irregolare, avendo solo tre punti di appoggio, in quanto uno dei piedi era poggiato su di un blocco di cemento che non si trovava allo stesso livello della superficie su cui erano poggiati gli altri piedi. Sta di fatto che il trabattello, nel corso dei predetti lavori, cedette e rovinò al suolo, il S. fini a terra schiacciato dalla struttura riportando gravissime lesioni”.
L’imputato impugnava perciò in appello, presentando al giudice ad quem il contenuto di sopravvenute conversazioni telefoniche dalle quali emergeva che l’evento lesivo era stato cagionato da un comportamento imprudente della persona offesa, la quale, per persuadere un proprio collega (anch’egli operante sul trabattello) ad interrompere la telefonata che questi stava intrattenendo con la propria fidanzata, aveva cominciato a muoversi al fine di far oscillare la postazione, sino a raggiungere involontariamente gli esiti infausti precedentemente descritti. Tale comportamento veniva sostanzialmente presentato quale concausa sopravvenuta da sola idonea a cagionare l’evento, con conseguente esclusione di ogni profilo di responsabilità penale in capo al datore.
In contrasto con quanto asserito dall’appellante, la Corte territoriale evidenziava – per quanto qui di interesse – che il comportamento imprudente del lavoratore non poteva in questo caso avere effetti liberatori con riferimento alla responsabilità penale del datore di lavoro, e ciò ha trovato conforto nelle argomentazioni del Giudice di Legittimità a seguito di ricorso per cassazione.
Spiega la quarta Sezione, in linea con l’insegnamento oramai granitico, che l’entrata in vigore del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) ha comportato un mutamento notevole nella percezione della rilevanza del comportamento del lavoratore negli infortuni avvenuti sul luogo di lavoro: dalla sua ininfluenza sul destino processuale del datore di lavoro si è passati ad una visione fondata non solo sulla concreta moltiplicazione delle posizioni di garanzia all’interno del contesto lavorativo, bensì anche su una rivalutata pregnanza della condotta colposa del lavoratore autodanneggiatosi (c.d. principio di autoresponsabilità del lavoratore).
La questione da dirimere diventa allora la seguente: quand’è che l’esito infausto (es. morte, lesioni) occorso al lavoratore può essere addebitato esclusivamente alla sua condotta imprudente, liberando il datore di lavoro da ogni profilo di responsabilità penale?
Si legge tra le massime oramai consolidate, pronunciate anche in tempi recenti dalla Corte di Cassazione, che il datore di lavoro tradizionalmente sfugge ad ogni pretesa punitiva dell’ordinamento penale, per i danni che il lavoratore si sia in pratica autocagionato con comportamenti imprudenti, quando la condotta dalla quale sia scaturito il danno si qualifica come abnorme, eccezionale, esorbitante rispetto alle mansioni del lavoratore e alle direttive impartitegli (cfr. Cass. pen., 23292/2011; Cass. pen. 7267/2010). Nella sentenza in commento, peraltro, la Corte enuncia la distinzione tra condotta “abnorme” e condotta “esorbitante”, la prima consistendo nel comportamento avulso dall’attività lavorativa tout court, la seconda corrispondendo alla condotta pur sempre lavorativa ma non rientrante nelle specifiche mansioni del lavoratore danneggiato.
La sentenza in epigrafe non solo conferma il principio testé enucleato, ma effettua una importante precisazione: l’imprudenza del lavoratore può escludere la responsabilità del datore di lavoro a patto che questi si sia reso a monte inattaccabile sul piano della avvenuta predisposizione delle misure antinfortunistiche (cfr., di recente, Cass. pen. 6741/2015). In altri termini, il soggetto apicale nel contesto lavorativo conserva la propria responsabilità penale laddove abbia omesso quelle attività organizzative, formative o di messa in sicurezza del luogo di lavoro, le quali avrebbero con grado statistico apprezzabile fatto fronte adeguatamente a quegli stessi rischi promananti dalla condotta imprudente del lavoratore (cfr. Cass. pen. 23729/2005; Cass. pen. 31303/2004; Cass. pen. 3580/1999). In questo caso, dunque, l’evento infausto discende cumulativamente dalla condotta omissiva del datore e da quella commissiva del lavoratore, non potendo quest’ultima assorbire totalmente il fenomeno eziologico; tuttavia è possibile, secondo le più moderne acquisizioni, tener conto della colpa del lavoratore ai fini della commisurazione della pena irrogabile al datore di lavoro (a tale orientamento pare allinearsi la quarta Sezione con la sentenza annotata; cfr. paragrafo 3.4. del Considerato in diritto).
Quanto premesso, ai fini di una migliore comprensione, impone allora di differenziare l’imprudenza normale e prevedibile del lavoratore dall’imprudenza eccezionale, vale a dire un comportamento imprevedibile in quanto abnorme o esorbitante nei termini suesposti.
Con riferimento alla prima, essa non esclude la responsabilità del datore di lavoro qualora a monte egli abbia operato in maniera deficitaria nella predisposizione di quei presidi antinfortunistici che sarebbero valsi a scongiurare l’evento secondo un grado apprezzabile di probabilità: rileva infatti la giurisprudenza che «incombe sul datore di lavoro il precipuo obbligo d’impedire prevedibili imprudenti condotte dei lavoratori, mediante utilizzo di strumenti e macchinari non agevolmente alterabili, l’uso obbligatorio di dispositivi individuali di protezione e, non ultimo, l’approntamento di personale di vigilanza capace di negare l’accesso a procedure pericolose» (in termini, Cass. pen., sez. IV, 22247/2014).
La seconda, al contrario, presuppone proprio a monte la diligenza del datore di lavoro relativamente ad ogni attività formativa, direttiva, organizzativa e di impiego delle misure di sicurezza in grado di far fronte ai rischi comunemente legati al contesto lavorativo; sicché, assolti tali compiti, il datore di lavoro andrà esente da ogni responsabilità in merito a quanto accaduto come conseguenza dell’imprudenza del lavoratore, poiché tale imprudenza sarà in concreto qualificabile come condotta abnorme o esorbitante, come tale escludente il nesso di causalità.
Tentiamo di fornire schematicamente un quadro riepilogativo sulla interferenza tra la condotta del lavoratore e la responsabilità del datore di lavoro alla luce dei principi giurisprudenziali sinora evinti:

  • L’entrata in vigore del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro, d.lgs. 81/2008, ha reso opportuno considerare l’efficacia autolesiva della condotta del lavoratore, in virtù del principio di autoresponsabilità del lavoratore stesso.
  • Il datore di lavoro ha tra i propri compiti, connessi alla posizione di garanzia di cui egli è titolare nei confronti dei lavoratori, quello di impartire le direttive operative ed organizzative cui i lavoratori devono sottostare, nonché quello di predisporre le misure di sicurezza idonee a fronteggiare i rischi normalmente connessi alle mansioni dei lavoratori.
  • Tali presidi antinfortunistici devono mirare a preservare il lavoratore non solo nel regolare espletamento della propria mansione, ma altresì dinanzi al rischio di condotte imprudenti considerabili normali e prevedibili nel contesto lavorativo. In questo caso, l’imprudenza del lavoratore è relegata in secondo piano dalla prevalente posizione di garanzia del datore di lavoro, il quale deve infatti – per consolidata giurisprudenza – non solo allestire i presidi antinfortunistici, ma anche vigilare sul rispetto delle misure di sicurezza da parte dei lavoratori, se del caso imponendo agli stessi la loro osservanza nonché l’ossequio alla comune prudenza. Il principio di autoresponsabilità ha, in questa ipotesi, effetti limitativi della responsabilità penale del datore di lavoro, influenzando al ribasso la commisurazione della pena.
  • Il datore di lavoro non risponde per l’esito infausto che abbia attinto il lavoratore, a cagione di una condotta colposa di quest’ultimo, che travalichi lo stadio di “imprudenza prevedibile”, assurgendo al rango di condotta abnorme (assolutamente avulsa dall’attività lavorativa) o esorbitante (coerente con l’attività lavorativa ma avulsa dalla specifica mansione assegnata al lavoratore). In questo caso, prevale l’affidamento che il datore di lavoro ripone nella aderenza dell’attività del lavoratore alle direttive impartitegli e al procedimento lavorativo, e il principio di autoresponsabilità del lavoratore ha effetti liberatori nei confronti del datore di lavoro.